Alcuni spunti sul simbolismo del Presepe
La
Natività è festeggiata in prossimità del 21 dicembre, data del Solstizio
d'Inverno. Il termine Solstizio deriva da Solis Statio: "Stazione del
Sole" perché l'astro, giunto al punto più basso del suo ciclo, pare
fermarsi e ripartire. Questo senso di sospensione è ben descritto da questo
brano del capitolo 18 del Protovangelo di Giacomo, un apocrifo datato 140-170
ma attribuito a Giacomo minore, cugino di Gesù.
"[1] Trovò quivi una grotta: ve la condusse, lasciò presso di lei i suoi figli e uscì a cercare una ostetrica ebrea nella regione di Betlemme.
[2] Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo.
Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del
cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e
vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli
che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non
l'alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo
portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto.
[3] Ecco delle pecore spinte innanzi che
invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano
restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti
poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose
ripresero il loro corso."
Ne "Il Re del Mondo" Guénon riporta che "Saint-Yves dice che, durante la celebrazione sotterranea dei «Misteri cosmici», [svolti nell'Agartha] vi sono momenti in cui i viaggiatori che si trovano nel deserto si fermano, in cui anche gli animali rimangono silenziosi; Ossendowski sostiene di aver assistito personalmente a uno di quei momenti di generale raccoglimento."[1]
Quale evento
più degno di rispetto della nascita dell'Avatara che avviene a Mezzanotte in
quanto “Nella giornata, la metà
ascendente è da mezzanotte a mezzogiorno, e la metà discendente da mezzogiorno
a mezzanotte; la mezzanotte corrisponde all’inverno e al nord, il mezzogiorno
all’estate e al sud; ... Così, le fasi del giorno, come quelle del mese, ma in
scala ancora più ridotta, riproducono analogicamente quelle dell’anno; ...
Secondo il simbolismo cristiano, la nascita dell’Avatâra ha luogo non solo al solstizio d’inverno, ma anche a
mezzanotte; essa è quindi così in duplice corrispondenza con la “porta degli
dei”…”"[2]
Teniamo conto che l'istituzione del Natale
risale al IV secolo e che fu Papa Giulio I nel 336 a fissare la data del 25
dicembre, dopo oscillazioni tra 25 aprile, 24 giugno e 6 gennaio.[3]
Eredità antiche. - Le ascendenze precristiane possono ritrovarsi nei Saturnalia, celebrati dal 17 al 23 dicembre con caratteristiche orgiastiche e carnevalesche in cui il mondo letteralmente si rigirava, con l'inversione dei ruoli sociali. Il richiamo era a Saturno, reggente dell'Età dell'Oro, epoca di armonia e di libertà rivissuta in termini di licenziosità e sovversione.
Nella quarta egloga delle Bucoliche di
Virgilio, poemi pastorali composti intorno al 40 a.C., il poeta mantovano
preconizzò un ritorno all'Età dell'Oro grazie alla nascita di un "puer"
da una vergine. Quel "savio gentil,
che tutto seppe"[4] si guadagnò la fama di profeta e di
mago, l'onore di guidare Dante e un valore nei secoli non solo letterario se "senza dubbio alcuno, da Pitagora a Virgilio
e da Virgilio a Dante la «catena della tradizione» in terra italiana non fu mai
interrotta."[5]
Inoltre si ricorda spesso che la data del
Natale si sovrappose al "Dies solis invicti", legato al Mitraismo, e coincidente con il
Solstizio d'Inverno. Questo culto misterico di origine Zoroastriana non ha
lasciato documenti scritti e le notizie disponibili si possono ricavare da
scrittori quali Tertulliano e San Girolamo.[6] Il rito
centrale consisteva nel sacrificio di un toro, atto volto a ricostituire
l'ordine cosmico. L'eroe Mithra nasceva direttamente dalla Terra, la matrice
della manifestazione, la Prakriti indù.
La continuità nei luoghi e nei tempi tra
tradizioni diverse e successive non va letta in termini di sopraffazione ma
rientra nelle leggi della trasmissione delle influenze spirituali. Una nuova
tradizione è un adattamento necessario alle mutate condizioni cicliche e riapre
vie di contatto con il Cielo rese ormai impraticabili.[7]
Nei presepi la presenza di rovine romane
rappresenta questa "staffetta"[8] tra la
tradizione classica greco-romana e il Cristianesimo, la cui storia nei primi
secoli è per altro velata da nebbie[9]. È
singolare notare che con l'affievolirsi del Cristianesimo[10] al
tramonto del Medioevo il Rinascimento inaugurò la riscoperta della classicità,
feconda dal punto di vista artistico e quanto meno da valutare sul piano
spirituale. Fu quasi una vendetta degli Dei dell'Olimpo a suo tempo esiliati.
Germe di grano. - Il luogo della nascita, Betlemme, profetizzato nel Vecchio Testamento,[11] è in ebraico Beith-Lehem, «casa del pane», termine simile all'arabo lahm Carne - "E il Verbo si è fatto Carne". Spighe di grano sono rappresentate nella culla del Bambino come nell'Adorazione dei Magi di Rubens (1609) e in Dürer e Cranach.
Spica
Virginis è una stella della costellazione della Vergine che in quanto segno
zodiacale è spesso raffigurata come una donna recante spighe di grano. Sotto
identiche vesti[12]
è dipinta Astrea, vergine stellare portatrice d'armonia sulla Terra nell'Età
dell'Oro e figlia di Zeus e Temi, dea della giustizia. Nella seconda fase
dell'iniziazione ai Misteri Eleusini, i Grandi Misteri, la conclusione del rito
comprendeva l'esposizione di una spiga di grano, pegno di resurrezione e frutto
della sacra unione dell'epopto con la sacerdotessa. Il mito sottostante ai
Misteri Eleusini narrava delle vicende di Demetra - la Madre Terra - alla
ricerca della figlia Persefone rapita da Plutone e confinata nell'oscurità
degli Inferi.
La nascita del Cristo è spesso assimilata ad
una germinazione, come nella Preghiera alla Vergine di Dante, recitata da San
Bernardo, a Lei particolarmente devoto:
"nel
ventre tuo si raccese l'amore
per
lo cui caldo ne l'etterna pace
così
è germinato questo fiore"
Par
XXXIII 7-9
“Il
Principio divino che risiede al centro dell‟Essere
è rappresentato dalla dottrina indù come un seme o una semente (dhâtu)”[13]
Bue e asinello. - Il calore necessario per questo evento è procurato dalla presenza del bue e dell'asino ai lati della culla. Questi animali, citati nel Protovangelo di Giacomo, “simboleggiano rispettivamente l’insieme delle forze benefiche e quello delle forze malefiche; si ritrovano d’altronde nella crocifissione, sotto forma del buono e del cattivo ladrone. Quanto poi a Cristo sulla groppa di un asino, al suo ingresso in Gerusalemme, egli rappresenta il trionfo sulle forze malefiche, trionfo la cui realizzazione costituisce propriamente la “redenzione”."[14]
I pastori. - I primi ad accorrere e a fare da corona all'avvenimento e a comprenderne la portata furono i pastori. Prefiguratori del "Buon Pastore" e portatori-custodi dell'Agnello sacrificale simboleggiano la funzione di ricezione pura del popolo, senza mediazioni e sovrastrutture culturali. È detto infatti “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli."[15]
E “...La
vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile,
indeterminabile. Solo, lo spirito ritornato allo stato di semplicità perfetta
può coglierla nella contemplazione profonda”. n.18: “Lie-Tse, c.IV. Si vede qui
tutta la differenza che distingue la conoscenza trascendente del saggio dal
sapere ordinario o “profano”; le allusioni alla “semplicità”, espressione
dell’unificazione di tutte le potenze dell’essere e ritenuta caratteristica
dello “stato primordiale”, sono frequenti nel taoismo. Parimenti, nella
dottrina indù, lo stato di “infanzia” (bâlia), considerato in senso spirituale,
è giudicato condizione preliminare per l’acquisizione della conoscenza per
eccellenza..."[16]
I
pastori rappresentano un'umanità nomade
ma non errante, non ancora solidificata dalla stanzialità, che è attratta dal
Centro del Mondo e riconosce il Salvatore. Le nostre città, e le moderne
megalopoli in particolare, sono al contrario la culla migliore per il
materialismo e la cecità spirituale.[17]
Benino. - Da citare ancora l'enigmatica figura di Benino, ben nota al Sud, pastore addormentato nelle vicinanze della grotta. Potrebbe simboleggiare sia il profano che si lascia sfuggire l'occasione di incontrare il Divin Pargolo, come Lancillotto – non propriamente un profano - che non conclude la cerca del Graal, o l'iniziato che coglie le realtà soprasensibili e appare dormiente agli occhi del mondo. Per quanto riguarda il significato dello stato di sonno: “- La lotta del Bodhisattwa con Mâra, subito prima del «Gran Risveglio», ha come prototipo il combattimento di Indra contro Vritra, Ahi o Namuchi, i quali tutti vanno fatti simili alla Morte (Mrityu). Sia nell’uno che nell’altro caso l’eroe, per quanto solo, ha tuttavia un «seguito» o una «guardia», i quali sono in realtà costituiti dai «respiri» (prânâh) o «poteri» rigenerati dell’anima, riuniti in samâdhi. Tale stato di «possesso di se stessi», in cui si dominano le forme della Morte (raffigurate dall’esercito di Mâra), è spesso indicato come un «sonno», anche se è invece lo stato più completamente «risvegliato» che ci possa essere; si ritrova in questo caso, come sempre accade in altri casi simili, un rovesciamento dei rapporti che esistono, nelle condizioni ordinarie, tra il sonno e la coscienza dello stato di veglia: «che la nostra vita presentemente attiva sia un “sogno” dal quale un giorno ci dovremo risvegliare, e che, svegli in tale modo, dovremo sembrare immersi nel sonno, è questa una concezione che si ritrova costantemente nelle dottrine metafisiche del mondo intero». –”[18]
Gli Angeli. - Gli angeli, messaggeri celesti, tessono le fila dell'intera vicenda, dall'Annunciazione all'indicazione della strada per i pastori e i Re Magi all'esultanza nei pressi della grotta, con la celeberrima scritta "Gloria in excelsis Deo, et in terra Pax hominibus bonae voluntatis", in cui "Le parole Gloria e Pax si riferiscono rispettivamente all’aspetto interno, in rapporto al Principio, e a quello esterno, in rapporto al mondo manifestato; e se si considerano in tal modo queste due parole, si comprenderà immediatamente perché vengono pronunciate dagli Angeli (Malakim) per annunciare la nascita del «Dio con noi» o «in noi» (Emmanuel)."[19] La "buona volontà" è assimilabile alla "retta intenzione" e come annuncia il Battista, alla venuta di Cristo "le vie tortuose diverranno diritte" Lc. 3, 5.
Nascita dell'Avatara. - Ma è proprio la nascita del Dio in noi che più tocca il punto di vista iniziatico. Essa avviene in un luogo defilato, in Interiora Terrae, nella "caverna del cuore" che è "una nota espressione tradizionale: il termine guhâ, in sanscrito, designa in genere una caverna, ma si applica anche alla cavità interna del cuore, e quindi al cuore stesso; è questa “caverna del cuore” il centro vitale in cui risiede, non solo jîvâtmâ, ma anche Âtmâ incondizionato, che è in realtà identico a Brahma stesso."[20]
Così come la realizzazione spirituale nulla
toglie o aggiunge a ciò che è in aeterno,
così la nascita dell'Avatara è lo sviluppo di un germe che l'ebraismo definisce
Luz, "nocciolo d'immortalità".
I Re Magi. - Avvisati anche loro dall'Angelo, accorrono, dopo un periodo di tempo tradizionalmente fissato in dodici giorni, i Re Magi. Essi sono citati in Matteo 2 1-12, e negli Apocrifi come il Protovangelo di Giacomo, (cap.21-23); il Vangelo dello Pseudo Matteo, VI secolo, (cap.16-17); il Vangelo Armeno dell'Infanzia, fine VI secolo, (cap.V, 10) che ne riporta i nomi: "Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena diventata madre. E' da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell'Oriente per il suo potere e le sue vittorie. I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi".
Chi erano veramente? Definiti
nel tempo maghi-astrologi, sovrani e sacerdoti,[21] fanno
parte del novero di esseri ambasciatori di altri mondi, come il famoso Prete
Gianni, convenuti per testimoniare la triplice funzione del Cristo. “...diremo
ora che tali personaggi misteriosi [i “Re magi”] non rappresentano altro, in realtà, che i
tre capi dell’Agarttha. Il Mahânga offre a Cristo l’oro e lo saluta come “Re”;
il Mahâtma gli offre l’incenso e lo saluta come “Sacerdote”; il Brahâtmâ,
infine, gli offre la mirra (cioè il balsamo d’incorruttibilità, immagine
dell’Amritâ) e lo saluta come “Profeta” o Maestro spirituale per eccellenza.”[22]
CENNI STORICI E ARTISTICI
Il Natale del 1223 a Greccio è considerata la data di origine, con la paternità di San Francesco, del Presepio, termine derivante dal latino praesepe o praesepium, recinto chiuso o mangiatoia, citata espressamente in Luca 2 "6Or, mentre si trovavano là, si compirono i giorni in cui ella doveva avere il bambino, 7e diede alla luce il suo figlio primogenito; lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché all’albergo per loro non c’era posto." Si trattò, con ogni probabilità, di una "sacra rappresentazione" ovvero una forma di teatro non osteggiata dalle autorità ecclesiastiche che, dapprima confinata all'interno delle chiese, ne uscì per conquistare un pubblico più vasto. Il Presepe quale lo intendiamo è infatti una scenografia e la fissazione in un istante atemporale dell'evento fondante della Tradizione Cristiana.
Nelle
Catacombe di Priscilla a Roma si può individuare la prima raffigurazione della
Natività, risalente al II secolo, in un affresco murario in cui compare la
Madonna con il Bambino in grembo. Circa mille anni dopo abbiamo una splendida
Adorazione dei Magi su tavola smaltata destinato alla Chiesa Abbaziale di
Grandmont – posta all’inizio del presente lavoro-.
Arnolfo
di Cambio scolpì un presepe scultoreo nel 1291 ora conservato a Santa Maria
Maggiore a Roma, ma il Rinascimento ci ha lasciato molti quadri con oggetto la
nascita di Cristo. L'arte presepiale è stata, e rimane, ad onta dell'oscurità
dei tempi, un esempio di conservazione popolare di simboli suscettibili di
interpretazioni a più livelli. Così come autori come Boccaccio o Rabelais per
veicolare contenuti tradizionali li hanno mescolati con temi triviali per
celare ai profani le loro reali intenzioni così il florilegio di personaggi ed
elementi di contorno nel Presepe lo ha ingigantito ma non ne ha offuscato il
senso devozionale e, per chi sa coglierlo, anche quello più profondo.
A
Napoli, dove le statuette con personaggi dell'attualità costituiscono un
"bisiniss" non indifferente, si scorge molto meno che altrove il disagio
o addirittura il fastidio nell'unire la fede alle manifestazioni artistiche,
tipico degli intellettuali - o presunti tali - moderni. Tale pervicacia nel considerare la devozione
più genuina segno di ignoranza è storia vecchia, a partire dal secolo XVI con
il sempre più pressante dominio della mentalità piccolo borghese, chiusa alla
spiritualità e dedita agli interessi di bottega[23]. Il
culmine di tale opera epuratoria si ebbe nel secolo dei lumi con l'"Écrasez
l’Infâme" del
tollerantissimo Voltaire.
La "Cantata
dei pastori", composta alla fine del Seicento da Andrea Perrucci
(1651-1704) nacque con fini didascalici e religiosi, narrando della Natività.
L'opera, che è rappresentata con vivo successo anche ai giorni nostri, si è
venuta appesantendosi come il Presepe, con l'inserimento di personaggi rozzi,
atti ad eccitare e fomentare il volgo che ha sempre partecipato con trasporto
alle vicende incentrate sull'opposizione alla nascita di Cristo da parte del
demonio Belfegor. Nonostante la zavorra accumulata, e, chissà, proprio per
queste "esche", l'opera non è caduta nel dimenticatoio come molte
altre coeve.
Chiudo
citando con piacere un autore non tacciabile di simpatie clericali come Eduardo
De Filippo (1900-1984). In "Natale in casa Cupiello" messa in scena
a ogni latitudine, tratteggia la figura del protagonista Lucariello, novello
idiota come l'eroe di Dostoevskij,
che, perso nella realizzazione del suo presepe, non si rende conto delle
tragedie che si svolgono nella sua famiglia. Egli, debole e vilipeso dai
famigliari, troverà riscatto nel finale, morendo ma recuperando l'affetto del
figlio che in precedenza ostentava con la celebre battuta "O’ presepe
numme piace!" la distanza che lo separava dal genitore.[24]
[1] Re del Mondo, p. 13
[2] Simboli della Scienza Sacra, p. 204 n. 4.
[3] C. Canzanella, Razzullo e la Sibilla, Napoli 2006, p. 27.
[4] Inf. VI, 3
[5] Esoterismo di Dante, c. 2 p. 24.
[6] Cfr. C. Lanzi, Mithra: cenni sul mito e sul simbolo, in www.simmetria.org
[7] Regno della quantità e segni dei tempi, c. 27 p. 184.
[8] Ne La Natività di Francesco di
Giorgio Martini (1490-95) a San Domenico a Siena la grotta è un tempio
diroccato.
[9] "...quasi tutto quel che ha attinenza con le origini del Cristianesimo e
con i suoi primi tempi è sfortunatamente avvolto da molta oscurità." Sull'Esoterismo Cristiano, p. 12.
[10] Affievolimento da intendersi
in senso esoterico dopo la fine dei Templari nel XIV secolo.
[11] "Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di
Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini
risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni." Michea 5-1
[12] Come sul soffitto della Camera
dello Zodiaco del Palazzo Ducale a Mantova.
[13] Simboli della Scienza Sacra, p. 381.
[14] Ibidem, c. 21
[15] Mt. 11, 25
[16] Simbolismo della Croce, c. 7 p. 72
[17] Regno della quantità, "Caino
e Abele". Si pensi anche alla fissazione del popolo ebraico in Israele
come segno della conclusione di un ciclo.
[18] Studi sull’Induismo, p. 268
[19] Forme tradizionali e cicli cosmici, "Cabala Ebraica", p. 79
[20] Simboli della Scienza Sacra, c. 30 p. 185
[21] Vedi F. Cardini, I Re Magi, Marsilio, Venezia 2000
[22] Re del Mondo, c. 4 p. 42
[23] Lamendola "Come la cultura razionalista e borghese dichiarò guerra a oltranza alla cultura popolare" http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=52205
[24] Nell'eccellente versione disponibile sulla Rai la parte di Tommasino, il figlio, era interpretata con la consueta maestria dal vero figlio di Eduardo, Luca, mancato nel 2015.
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