Cicli Cosmici

 


  Considerare la storia umana protesa verso un futuro radioso e comunque migliore del presente è un’acquisizione tardiva e nettamente antitradizionale. Molteplici testimonianze sostengono la tesi che la conoscenza dell’andamento ciclico del tempo è da sempre stata patrimonio dell’umanità. Il brano più noto che esprime il carattere qualitativo del tempo è forse questo:

  Per tutto c’è un momento 

                                                 e un tempo per ogni azione,                                                 

             sotto il sole.             

                                                              C'è un tempo per nascere

                                                              e un tempo per morire,

                                                               un tempo per piantare

                                                              e un tempo per sbarbare il piantato.

                                                              C’è un tempo per uccidere

                                                               e un tempo per curare,

                                                               un tempo per demolire

                                                               e un tempo per costruire....      Ecclesiaste 3, 1-3 

     In estrema sintesi si può affermare che, al contrario di quanto comunemente pensato e sperato, nel passato si può ritrovare una condizione di pienezza dello stato umano, mentre nel futuro prossimo si prospettano situazioni complesse e inevitabili.

  Nella Divina Commedia il “Veglio di Creta” con la sua variegata composizione simboleggia il progredire ciclico verso la disgregazione:

   La sua testa è di fino oro formata,
       e puro argento son le braccia e il petto, 
      poi è di rame infino alla forcata; 
da indi in giuso è tutto ferro eletto,  
 salvo che’l destro piede è terra cotta; 
                                                  e sta ‘n su quel più che ‘n su l’altro eretto.   Inf. XIV, 106-111                                                                                                    

    Nei Vangeli si trovano annunci espliciti di future degenerazioni: “Allora molti si scandalizzeranno e si tradiranno l’un l’altro, e si odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti, e sedurranno molti. E, per il moltiplicarsi dell’iniquità, in molti si raffredderà la carità.” (Mt. 24, 10-12)

   Vi sono cenni a modificazioni quantitative: “Saranno, infatti, quei giorni di una tribolazione tale, quale non è mai stata dal principio di tutte le creature che Dio ha create, fino ad ora, nè più ci sarà: e se il signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno che è carne sarebbe scampato; ma egli ha abbreviato quei giorni in grazia degli eletti che ha scelto.” (Mc. 13, 19-20)

   L’ineluttabilità del cammino ciclico è altresì sancita: “Perchè molti verranno in nome mio a dire:  - Io sono il Cristo! – e sedurranno molti. Allora sentirete parlar di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non turbarvi, perchè bisogna che tutto ciò avvenga. Ma non è ancora la fine.” (Mt. 24, 5-6)

   Platone, nel dialogo “Politico” accenna alle condizioni particolari della prima era, retta da Crono:     “Sotto quella guida del dio non v’era bisogno né di costituzioni di stati né dell’acquisto di donne o di figli; tutti infatti risorgevano alla vita dalla terra, e senza conservare alcun ricordo di ciò che era stato prima; ma se tutto ciò mancava, frutta senza limite avevano dagli alberi e dalle altre numerosissime piante, non certo prodotto di opere agricole, ma spontaneamente producendoli il suolo.” (272a)[1]

    A questo riguardo Guénon sottolinea che:  "... nell’epoca primordiale, ... tutti gli uomini erano in possesso, in modo normale e spontaneo, di uno stato che oggi è in rapporto con un elevato grado di iniziazione n.2: “È quello che nella tradizione indù è indicato con la parola Hamsa, attribuita come nome alla casta unica che esisteva in origine, e denotava in modo proprio uno stato che è ativarna, vale a dire al di là dalla distinzione delle caste attuali.”...[2]

  Il maestro di Dante, Virgilio, evoca il degrado ciclico dopo la reggenza di Saturno:

 “L’età d’oro, che dicono, fu sotto quel re:

così in placida pace egli reggeva il suo popolo,

finché via via peggiore e più pallido scorse

il tempo, e nacque rabbia di guerra e brama d’amore.”   En. VIII, 324-327

    Anche Ovidio, nelle Metamorfosi, descrive la naturale armonia vigente agli inizi...

   Fiorì per prima l’età dell’oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri, senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine. Non c’erano pene a incutere paura, né parole minacciose si leggevano su tavole di bronzo, né gente implorante clemenza temeva le labbra del giudice, ma tutti vivevano sicuri senza che alcuno li tutelasse.”  Met. I, 89-93

  In seguito la transizione verso le età successive, meno qualitative...

  Quando Saturno fu spedito nel Tartaro tenebroso e il mondo si ritrovò sotto il regno di Giove, subentrò l’età dell’argento: più scadente dell’oro, ma di pregio maggiore del fulvo bronzo. Giove ridusse la durata originaria della primavera, e fece scorrere l’anno attraverso inverno, estate e incostante autunno e primavera breve: le quattro stagioni.”  Met. I, 113-118

  I cambiamenti quindi non sono solo morali ma anche geografico-climatici, perché l’ambiente fisico rispecchia e simboleggia realtà di ordine superiore[3]:

   "Seguì per terza l’età del bronzo: d’indole più crudele, e più pronta ad usare le orribili armi; scellerata, però, non ancora. L’ultima, fu quella del ferro duro. D’improvviso, in quest’epoca di tempra peggiore, irruppe ogni empietà; fuggirono il pudore e la sincerità e la lealtà, e al loro posto subentrarono le frodi e gli inganni e le insidie e la violenza e il gusto sciagurato di possedere [...] il ferro pernicioso e l’oro più pernicioso del ferro furono portati alla luce: ed ecco, compare la guerra, che combatte con l’uno e con l’altro e squassa con mano insanguinata armi crepitanti.” Met. I, 125-131 e 141-143

  La stessa geografia fornisce quadri in continuo ed anche repentino mutamento, con la comparsa e la scomparsa di continenti.

  Platone, nel Timeo, cita i sacerdoti egizi: “Pertanto codeste vostre genealogie, che tu, o Solone, ora esponevi, poco differiscono dalle favole dei fanciulli, perché innanzitutto ricordate solo un diluvio della Terra, mentre prima ne avvennero molti, ...” (23b)

  Successivamente si riferisce ad Atlantide: “L’isola era più grande della Libia e dell’Asia riunite, e i navigatori allora potevano passare da quella alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente opposto, che costeggiava quel vero mare. [...] in quest’isola Atlantide v’era una grande e mirabile potenza regale...” (23e-24a)

  La conclusione è nota: “Ma nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti ed inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte tremenda, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme dentro terra, e similmente scomparve l’isola Atlantide assorbita dal mare; ...” (25c-d)  Il cataclisma in cui sparì l’Atlantide è quello descritto nella Bibbia, analogo ma diverso da quello “di Satyavrata che, secondo la tradizione indù, che procede direttamente dalla tradizione primordiale, precedette immediatamente l’inizio del nostro Manvantara” [4].

  Atlantide, ben lungi dall’essere il parto della fantasia degli antichi, fu la sede della razza rossa, che dominò sulla terra nel corso dell’Età precedente a quella che stiamo vivendo. 

Primavera

Prima Età     o Età dell’Oro            Satya Yuga

4 x 6480 =

25920

Estate

Seconda Età o Età dell’Argento     Trêta Yuga

3 x 6480 =

19440

Autunno

Terza Età      o Età del Bronzo   Dwapara Yuga

2 x 6480 =

12960

Inverno

Quarta Età   o  Età del Ferro              Kali Yuga

1 x 6480 =

  6480

 

Durata totale delle quattro età

     10 x 6480 =

    64800

   Ogni Manvantara si compone dei quattro Yuga, di durata decrescente, di cui l'ultimo, il Kali-Yuga, è 1/10 del Manvantara stesso. Poiché il Kali-Yuga è di 6.480 “anni” (pari a metà del Grande anno, che è, a sua volta, la metà del periodo detto “Precessione luni-solare" o "Precessione degli Equinozi”), il Manvantara è di 64.800 “anni”. Un Kalpa è quattordici volte un Manvantara, cioè: 64.800 x 14 = 907.200; ora - afferma Guénon in Forme tradizionali e cicli cosmici - il Kalpa si compone di due fasi: una discendente, ed una ascendente, la prima di sette Manvantara, e la seconda degli altri sette. Noi siamo al termine del primo settenario. In altre parole: col termine di questo Manvantara, e cioè col termine di questo Kali-Yuga, s'inverte il ritmo stesso del Kalpa, che inizia la sua fase ri-ascendente (ogni Manvantara iniziava un po' più “in giù” del precedente, da ora in poi sarà diverso; si tenga conto, punto importantissimo, che il Manvantara è un ritmo, e non implica la ripetizione uguale di ciò che è passato, ma soltanto un'analogia qualitativa). Ora: 907.200/2 = 453.600. Col sandhya, in cui siamo entrati, termina anche questo. Terminano “in contemporanea” ed “in analogia”, ma su piani molto differenti: il Kali-Yuga del Manvantara presente, il presente Manvantara, la fase discensiva dei primi sette Manvantara del nostro Kalpa, quello del “Cinghiale bianco”.    Queste durate sono in totale contraddizione con le fantasmagoriche cronologie della geologia moderna, a ennesima riconferma del fatto che la prospettiva scientifica profana non è compatibile con i dati tradizionali, meno “sperimentali” ma più affidabili.

    Possiamo perciò solo lamentare la sventurata circostanza di essere nati al tramonto del Kali-Yuga o, a parte il fatto che ogni essere vive nell’epoca che si “merita”, dobbiamo pensare che non tutto è perduto? Come risposta basti questo brano evangelico:

    Parabola degli operai.- 1Il regno dei cieli, infatti, è simile ad un padrone di casa, che, di buon mattino, uscì a prendere a giornata dei lavoratori per la sua vigna. 2E dopo aver fissato coi lavoratori un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3Uscì verso l'ora terza, e ne vide altri che se ne stavano in piazza sfaccendati, 4e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna e vi darò quel che sarà giusto. 5E quelli andarono. Uscì di nuovo verso l'ora sesta e l'ora nona, e fece lo stesso. 6Uscito poi verso l'undecima ora, trovò altri che se ne stavano sfaccendati, e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far nulla? 7Gli rispondono: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella vigna.  8Venuta poi la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. 9Si presentarono dunque quelli dell'undecima ora, ed ebbero un denaro per uno. 10Vennero in seguito anche i primi, e pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch'essi un denaro per uno. 11E nel riceverlo mormoravano contro il padrone di casa, 12dicendo: Questi ultimi non han lavorato che un'ora sola, e li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo! 13Ma egli, rispondendo ad uno di loro, disse: Amico, io non ti fo torto: non hai fissato con me un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15Non posso forse fare del mio quello che voglio? O tu vedi con occhio maligno che io son buono? 16Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi”.  Mt. 20, 1-16

 

                                                                                                                                      

 



[1] “... Platone fa ancora ricorso all’uso dei miti quando vuole esporre concezioni che vanno al di là della portata dei mezzi dialettici abituali; e questi miti, che egli non ha certo “inventato” ma solo “adattato”, giacché portano il segno incontestabile di un insegnamento tradizionale... , questi miti, dicevamo, sono ben lontani dall’essere solo gli ornamenti letterari più o meno trascurabili che troppo spesso i commentatori e i “critici” moderni credono che siano...; questi miti corrispondono... a quanto c’è più di profondo nel pensiero di Platone,...” (R.Guénon “Miti, misteri e simboli” in “Considerazioni sull’iniziazione”, Luni, Milano 1996, p.148)  

[2] R. Guénon “Sulle condizioni dell’iniziazione” in “Considerazioni sull’iniziazione”, cit, p.34.

[3] “...bisogna innanzitutto rammentare che l’ordine umano e l’ordine cosmico non sono in realtà separati, come troppo facilmente si immagina ai giorni nostri, ma che al contrario sono così strettamente legati che ciascuno di essi reagisce costantemente sull’altro, e che esiste sempre una corrispondenza fra i loro rispettivi stati. Questa considerazione è essenzialmente alla base di tutta la dottrina dei cicli e, se la si ignorasse, i dati tradizionali ad essa riferentisi sarebbero del tutto inintelleggibili; la relazione esistente fra certe fasi critiche della storia dell’umanità e certi cataclismi che si producono in determinati periodi astronomici ne rappresenta forse l’esempio più sorprendente;...” R. Guénon “Il Regno della Quantità e i segni dei tempi” Adelphi, Milano 1982,  p.113 

[4] R. Guénon “Forme Tradizionali e Cicli Cosmici” Ed. Mediterranee, Roma 1983, p.39

Commenti

  1. La ciclicità, dal nostro punto di vista, è sostanzialmente la ripetizione di analoghe condizioni, e si manifesta in fondo in molteplici forme: le 24 ore di un giorno, le stagioni, fioriture e fruttificazioni ... e numerosi altre situazioni. Spero e confido che la Speranza, l'ultima a morire, colga nel segno e che ci porti ad essere annoverati tra gli operai dell'ultima ora della parabola neo-testamentaria. Ottimo articolo, grazie.

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