“Considerazioni sul Teatro” II Parte

    


   Il giullare, il trovatore, il giocoliere ebbero diverso rilievo ma furono accomunati da una certa libertà di azione. “…il giocoliere, in realtà, è colui che diverte la folla facendo cose bizzarre, od anche semplicemente affettando modi di fare stravaganti. È così che lo si intendeva nel Medio Evo, quando il giocoliere veniva appunto in certo qual modo identificato al buffone; e si sa, d’altronde, che il buffone era anche chiamato «folle» benché in realtà non lo fosse, [...] Se a ciò si aggiunge che il giocoliere, come il majdhûb d’altri lidi, è abitualmente un essere «errante», è facile capire i vantaggi che la sua funzione offre quando si tratti di sfuggire all’attenzione dei profani, o di distoglierla da quel che conviene ch’essi ignorino, sia per ragioni di semplice opportunità, sia per altre d’ordine molto più profondo. (n.2: A causa appunto di questi vantaggi, il giocoliere ed il majdhûb veri possono anche servire da «veicolo» di certe cose senza esserne essi stessi coscienti...).  In effetti, la follia è una delle maschere più impenetrabili di cui può rivestirsi la saggezza, proprio per il fatto di esserne l’estremo opposto; è per questo che, nel Taoismo, gli «Immortali» stessi sono spesso descritti, quando si manifestano nel nostro mondo, sotto un aspetto più o meno stravagante, se non addirittura ridicolo, e per di più non esente da una certa «volgarità»; ma quest’ultimo tratto si riferisce ancora ad un altro lato della questione.[1] 

   Non solo i Templari e i costruttori delle cattedrali romaniche e gotiche, ma anche oscuri cantori di gesta cavalleresche potevano contribuire all’edificazione di un ambiente psichico favorevole. Vi fu con ogni probabilità un innesto di elementi della tradizione celtica sul tessuto cristiano come dimostrano i racconti incentrati sul ciclo arturiano e la cerca del Graal. Se al giorno d’oggi i mezzi di comunicazione di massa consolidano un clima antitradizionale a quel tempo i trovatori diffondevano influenze spirituali benefiche anche al di là dei propri intendimenti. La pratica delle rappresentazioni sacre affiancate alla liturgia non si è interrotta neanche ai nostri giorni.

  Una seconda fase cruciale per il destino tradizionale dell’Occidente si situa nella prima metà del 1600, quando la cesura con il Centro del Mondo si fa più netta con la fuga in Oriente, da intendersi in senso più spirituale che geografico, degli ultimi Rosacroce. Esteriormente l’evento che tracciò un confine fu la conclusione della Guerra dei Trent’anni con i trattati di Westfalia (1648) che “… misero fine a quel che ancora sussisteva della «cristianità» medioevale per sostituirvi un’organizzazione puramente «politica» nel senso moderno e profano della parola.”[2] 

  Al tramonto del Medioevo l’opera di Dante ne ha costituito il testamento e ipotizzo che una funzione analoga, in un altro tornante della storia, l’abbia svolta Shakespeare (1564-1616), con un orizzonte cosmologico più che metafisico. I Rosa-Croce erano “uomini primordiali” che avevano realizzato la pienezza dello stato umano, lo stesso fine delle iniziazioni artigianali come la Massoneria. Prima di eclissarsi non potrebbero aver seminato indizi per consentire, a chi ne fosse in grado, di recuperare il bandolo della matassa? 

   Sulla stessa figura di Shakespeare si sono elaborate le più intricate congetture per cui la sua biografia ufficiale è da più parti contestata. Alcuni ritengono fosse siciliano, altri che si trattasse in realtà dell’inglese Cristopher Marlowe (1564-1593), controverso autore del Faust e morto in circostanze misteriose a ventinove anni. Si è arrivati inoltre ad attribuire a Shakespeare l’“invenzione della Massoneria”![3]

  Se lo confrontiamo con l’altro grande che lo segue cronologicamente, Molière (1622-1673), vediamo che non esistono ipotesi strane sulla vita di quest’ultimo, che sono ben documentati i suoi rapporti spesso conflittuali con l’autorità e che i suoi, peraltro formidabili, soggetti sono volti alla critica sociale e psicologica. Ci si avviava alla superfetazione barocca, premessa del secolo dei lumi che compresse, o cercò di farlo, l’orizzonte umano alla sola razionalità.

  Invece in quella fatidica prima metà del 600 Calderòn de la Barca (1600-1681) autore anche de “Il gran teatro del mondo”, scriveva che “La vita è sogno”, e quante volte i personaggi shakespeariani hanno svelato questo segreto.

  Ne “La Tempesta”, considerata l’opera più intrisa di Ermetismo, Prospero tira le somme dell’intricata vicenda con parole eloquenti sulla vanità dell’esistenza:

                “Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni,

e la nostra breve vita è circondata dal sonno.” Atto IV Sc. I

    A volte la svolta nella vicenda è data dall’irruzione del teatro nel teatro. Il fedifrago Claudio, usurpatore che ha sottratto vita, regno e moglie al padre di Amleto vacilla quando una compagnia di attori girovaghi, con la regia del Principe, rappresenta una vicenda identica al suo tradimento. 

  Anche Don Chisciotte, creato da Cervantes tra il 1605 ed il 1615 si scaglia contro marionette-Mori per difendere una marionetta-cavaliere, mescolando finzione a finzione.

  Il Bardo non è mai rassicurante, essendosi preso il compito di scavare nell’animo umano, in cui trova sia pepite d’oro sia mostruosità. Egli “Edifica templi alla virtù” ma non cela la necessità di scavare “oscure e profonde prigioni al vizio”.  

  Nel Macbeth, la tragedia più amara, le cui rappresentazioni erano temute per il potere evocativo di forze sinistre, crudamente si sentenzia:  

“La vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore

che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena

e del quale poi non si ode più nulla; è una storia

raccontata da un idiota, piena di rumore e furore,

che non significa nulla.” Atto V Sc. 5

    Si può ritrovare nell’opera shakespeariana la precisa coscienza tragica, e intellettualmente lucidissima, dell’esaurirsi di un ciclo. L’Amleto non è solamente l’esplorazione di un animo indeciso, perché tra le righe il principe di Helsinore è ben conscio del suo incarico pur essendo restio a bere l’amaro calice. Egli è il guardiano del mulino che, specie nella mitologia nordica[4], è il simbolo dell’inesorabile e improrogabile distruzione di tutto il manifestato. Sa che con il suo ritorno non è possibile restaurare un ordine, ma bisogna ricostruire sulle macerie del precedente ciclo.

“Il tempo è scardinato. O destino maledetto,

che sia mai nato io per rimetterlo in sesto!” Atto I Sc. 5

    La sua amata Ofelia che impazzisce di dolore perché il suo promesso sposo apparentemente perde il senno e la rifiuta insultandola pesantemente non ha, a causa di questa “scardinatura”, la possibilità di fiorire.  Struggente il quadro del preraffaellita Millais che la rappresenta in procinto di annegare e cosparsa di fiori come una primavera mai cominciata. Si potrebbe forse parlare di strage degli innocenti, di un sacrificio ripugnante in una logica umana ma necessario per far ripartire la ruota dell’esistenza. 

   Si ritrova il travestimento, la follia che maschera la consapevolezza del proprio compito. Gli altri protagonisti, a parte i più cari amici, sono sviati dal suo bizzarro comportamento per essere poi “giustiziati” nel tragico epilogo. 

   La crisi d’identità dell’uomo occidentale, emancipato dalle superstizioni e sicuro delle “magnifiche sorti e progressive” bolle in pentola per anni e deborda senza più argini nel secolo scorso. Pirandello (1867-1936) ne è magistrale interprete arrivando a destrutturare il racconto e ad unire palcoscenico e platea con “I sei personaggi in cerca d’autore”. Quest’opera alla prima a Roma nel 1921 provocò addirittura dei tumulti in sala tale era la portata dell’innovazione. Il mondo borghese vacillava perché il guscio materialista andava bucato. La mutevolezza e l’inconsistenza dell’io erano colti in pieno senza però una corretta apertura verso l’alto. Il teatro contemporaneo, così come l’arte in generale, è volto a uno sperimentalismo dagli esiti controversi. La sensazione è che la precarietà di questo mondo, così ben raffigurata da tanti autori, richieda un rivolgimento radicale, un ritorno di Amleto, il vendicatore del Padre.

 John Everett Millais (1829-1896)   Ofelia (1851) Tate Britain

 


 BIBLIOGRAFIA

·        Luigi Allegri “L’arte e il mestiere” Carocci

·        Luigi Allegri “Prima lezione di teatro” e "Teatro e spettacolo nel Medioevo  Laterza

·        Ninni Bruschetta “Sul mestiere dell’attore” Bompiani. L’autore, attore di teatro, tv e cinema di una certa notorietà, cita Guénon, Coomaraswamy e Florenskij per riproporre la sacralità del mestiere.     

·        Eduardo Ciampi “William Shakespeare Pescatore di uomini” Intento

·        Eduardo Ciampi “Macbeth tra Shakespeare e Verdi: La Tragedia della Regalità dissacrata” Irfan

·        Eduardo Ciampi “La Coscienza di Shakespeare (Shakespeare’s Conscience)” Irfan

·        Pavel Florenskij “Amleto” Bompiani.

·        Martin Lings “The Secret of Shakespeare. His Greatest Plays Seen in the Light of Sacred ArtQuinta Essentia



[1]  Travestimento popolare in “Iniziazione e realizzazione spirituale”

[2] “Rosa-Croce e rosacrociani” in Considerazioni sull’iniziazione p.291 n.1. Cfr. anche “La Grande Triade” c.VIII

[3] Studi sulla Massoneria e il Compagnonaggio vol.I p.112

[4] Cfr. De Santillana, Von Dechend, “Il Mulino di Amleto” Adelphi, Milano 2009 (V ed.)

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