Note su Pavel Florenskij

 

  

Florenskij, vestito di bianco, con S. Bulgakov, nel dipinto Filosofi di M. Nesterov, 1917         

Per una sorta di riequilibrio nei confronti della decadenza dei tempi, anche nello scorso secolo si sono manifestate personalità di straordinario livello spirituale che attraverso vita, opere e scritti hanno svolto una funzione di testimonianza formidabile. “Ed ecco che ci sono degli ultimi che saranno i primi, e dei primi che saranno ultimi”. (Lc. 13,30)

  La figura di Padre Pavel Florenskij rientra, e non solo a mio avviso, in questo ristrettissimo novero di luci il cui splendore non accenna ad attenuarsi.

  CENNI BIOGRAFICI[i]

   Pavel Florenskij nasce ad Evlach (Azerbaigian) il 9 gennaio 1882. All’inizio del 1900 intraprende gli studi all’Università di Mosca, laureandosi nel 1904 in Matematica e Fisica, sotto la guida dell’eminente Professor Nikolaj V.Bugaev. La tesi di laurea di Florenskij sul principio di discontinuità applicato alle rette geometriche, innovativa per quanto riguarda la concezione stessa dello spazio, gli apre le porte della ricerca accademica. Egli preferisce però iscriversi all’Accademia Teologica di Mosca, studiando con passione e producendo dovizia di scritti profondissimi, senza peraltro abbandonare la matematica. In contrasto con l’atteggiamento dominante nell’intelligencija russa del tempo, fortemente anticlericale ed antireligiosa, egli matura un crescente interesse per la cultura religiosa che si concretizza nella scelta dell’esperienza ecclesiale, grazie all’incontro di due grandi guide spirituali, il vescovo starec Antonij Florensov e lo starec Isidor Gruzinskij, ieromonaco presso la Lavra della Trinità, al quale Florenskij dedica un intenso ritratto spirituale[ii] 2). La sua concezione del mondo si apre alla comprensione integrale della cultura, ripercorrendone il fiume fino alla sorgente.  Le intuizioni riguardanti il legame originario tra culto, cultura e cristianesimo lo sollecitano ad esaminare con disincanto i processi riduzionistici della cultura moderna, che erigendo un muro di separazione tra sé e la “Fonte della Vita Eterna”, ha liquidato le radici ontologiche e mistiche della cultura cristiana, senza mai conoscerle concretamente. La sua attenzione è volta soprattutto a questioni bibliche e teologiche, ma l’ampiezza del suo orizzonte intellettuale lo spinge ad una costante ricerca dell’unitarietà di tutti i fenomeni culturali.

  Nel 1910, dopo aver ottenuto la licenza teologica, si sposa con Anna M. Giacintova e, pochi mesi dopo, è consacrato presbitero ortodosso. Nello stesso anno è nominato docente straordinario di Filosofia, orientandosi verso un realismo inteso come “realtà trans-oggettiva dell’essere: l’essere si apre direttamente alla conoscenza”, inteso in opposizione all’illuminismo, al soggettivismo e allo psicologismo. Il tutto accompagnato dall’idealismo concreto, che si contrappone a tutte le forme di idealismo astratto o trascendentale, con l’intento di scrutare in ogni fenomeno il simbolo della realtà.

  Dal 1911 al 1917 dirige la rivista teologica “Messaggero Teologico”, influenzandola magistralmente ed è del 1914 il suo capolavoro “La colonna e il fondamento della verità”, summa del pensiero russo ortodosso.

  L’orizzonte di “metafisica concreta” pazientemente elaborato da Florenskij si regge su due inscindibili istanze: da un lato il riconoscimento della natura dialettica del pensiero, della differenza, della discontinuità, dell’antinomia che lacera ogni realtà vivente e attraverso queste fenditure lascia percepire l’opera della Verità...; dall’altro lato l’insopprimibile tensione verso l’unità dell’insieme, una visione integrale della conoscenza e dell’esistenza come meta.

Dopo la rivoluzione del 1917 egli si convince della necessità di una ferma resistenza interna, senza scegliere la via dell’esilio. All’inizio degli anni venti è nominato responsabile della commissione per la tutela del patrimonio artistico del Monastero della Santissima Trinità e docente di “Analisi della spazialità nell’opera d’arte” presso gli Atelier superiori tecnico-artistici di stato fino al 1924. Oltre agli studi di filosofia del linguaggio, di teoria dell’arte e della spazialità, Florenskij compie una serie di invenzioni tecniche nel campo della fisica e cura la realizzazione di numerosi voci di alcuni volumi della grande Enciclopedia tecnica (dal 1927 al 1933). Fondamentale è inoltre il suo apporto scientifico ad opere di elettrificazione in quanto ingegnere elettrotecnico ed esperto di materiali conduttori. Dal ’20 in poi la sua produzione è vastissima e multiforme, toccando, tra l’altro, la rivalutazione della concezione dello spazio nella Divina Commedia. Successivamente gli spazi di libertà concessi dall’oppressione bolscevica si chiusero, ed ecco che nel maggio del 1928 giunse il primo arresto con condanna a tre anni di confino per Florenskij, definito “un oscurantista, una minaccia per il potere sovietico”. La successiva revoca della sentenza non lo ricondusse a miti consigli, tanto che Sergej Bulgakov[iii] scrisse: “Non è stato un caso che egli non sia partito per l’estero, dove poteva legittimamente attendersi un brillante avvenire scientifico e forse anche la gloria, che per lui, comunque, era come se non esistessero nemmeno. Sicuramente sapeva quello che lo aspettava in patria, troppo implacabilmente lo testimoniavano i destini dei suoi connazionali, a cominciare dal bestiale assassinio della famiglia imperiale fino alle innumerevoli violenze del potere. Si può dire che la vita lo abbia posto di fronte alla scelta tra Solovki e Parigi, e che egli abbia scelto la sua patria, fosse anche Solovki, perché voleva condividere fino in fondo il destino del suo popolo. Padre Pavel non voleva e non poteva organicamente diventare un émigré, separarsi volontariamente o involontariamente dalla sua patria. Lui e il suo destino sono la gloria e la grandezza della Russia, e nello stesso tempo il suo più grande delitto”. Tornato a Mosca riprende la sua attività a pieno ritmo senza rinnegare o celare nulla delle sue convinzioni, e presentandosi alle riunioni immancabilmente in abito talare. Nel febbraio 1933 arriva un’altra condanna a dieci anni di lager. Inviato, dopo dieci mesi di carcere duro, in Estremo Oriente, collabora, in virtù delle sue conoscenze, alla “Stazione sperimentale dei Ghiacci” ottenendo ottimi risultati, nonostante le condizioni di lavoro. Nel luglio-agosto del 1934 incontra per l’ultima volta la moglie ed i tre figli più piccoli. Nel settembre dello stesso anno viene trasferito nelle isole Solovki, nel Mar Bianco, la sua ultima destinazione. Lì troverà, dopo sofferenze fisiche e psicologiche documentate dal suo epistolario[iv] un plotone d’esecuzione la notte dell’8 dicembre 1937. Solo dopo vari anni la moglie apprese con certezza della sua fine. Oggi appare chiaro che Padre Pavel non solo si autoaccusò di colpe mai commesse per salvare altre vite a spese della propria, ma che si oppose con fermezza ai tentativi di intercessione anche autorevoli che si erano mossi in suo favore. Con una coerenza e una rettitudine nel senso più completo del termine, accettò il martirio.

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  La sua produzione sta da tempo uscendo dall’oblio, e la sua figura così cristallina trova crescenti consensi a tutti i livelli. 

  Ho inteso quindi proporre alcuni estratti dalle opere di Padre Pavel disponibili in italiano, per fornire un’idea, sia pure forzatamente parziale, della profondità delle vedute di chi è stato paragonato a Leonardo e a Pascal. Nell’ambito dell’interpretazione dell’opera d’arte, è da segnalare il suo testo “Le Porte regali”[v] in cui con stringente dialettica e puntualissima documentazione svela gli arcani sia della tecnica pittorica che del simbolismo, spiegando come non li si possa affatto disgiungere.

  In aperto contrasto con le concezioni moderne, egli sottolinea il pericolo di “prendere… per immagini spirituali… le fantasticherie che circondano, confondono e seducono l’anima al momento in cui le si apre davanti la via verso l’altro mondo. Sono gli spiriti di questo secolo” (p.36) Alcuni giudizi sono estremamente chiari: “La pittura religiosa dell’Occidente, incominciata col Rinascimento, fu una radicale falsità artistica e pur predicando a parole la prossimità e fedeltà alla realtà raffigurata, gli artisti non avevano niente da fare con quella realtà che pretendevano e ardivano di rappresentare...” (p.63)

  La visione della non importanza dell’individualità è ben specificata da questa frase: “..l’autentico artista non vuole la cosa sua a ogni costo, ma vuole il bello, l’oggettivamente bello, cioè l’artistica configurazione della verità delle cose e in genere non si cura della questione meschina e vanitosa, se è il primo o centesimo a parlare della verità.” (p.80)

  “La pittura d’icone è un tipo d’arte che si esprime in purezza, nella quale tutto è uno e unificato: la materia, la superficie, il disegno, l’oggetto e il significato del tutto, condizioni di contemplazione;… Viceversa la cultura rinascimentale nella sua essenza profonda è eclettica e contraddittoria, è analiticamente frammentata, composta di elementi fra loro ostili e tesi ciascuno all’autoaffermazione….” (p.167)

  Questo concetto dell’aleatorietà dell’autoaffermazione individuale lo si ritrova anche nel suo scritto probabilmente maggiore, “La colonna o il fondamento della verità”[vi].

   “La legge dell’identità che pretende all’assoluta universalità, risulta assolutamente inesistente; vede il proprio diritto nella propria immediatezza, ma ogni dato immediato, di qualunque genere, la confuta, la infrange sempre e dovunque, nel tempo e nello spazio… Dal punto di vista della legge dell’identità, tutto l’essere, mentre desidera affermare se stesso, in realtà si annienta, perché si riduce ad un ammasso di elementi ciascuno dei quali è un centro di negazione e soltanto di negazione; in tal modo tutto l’essere è semplice negazione, un solo grande “no”. La legge dell’identità è uno spirito di morte, di vuoto, di annientamento.”(p.62)

  Come non riferisci all’evangelico “Poiché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio, la troverà.”? (Mt.16,25)

    Riporterò inoltre un breve stralcio che riguarda la gelosia, questo sentimento che tanta esecrazione provoca nei benpensanti, ed a cui ha dedicato una delle dodici lettere che costituiscono l’opera.

  “Tutta la Bibbia è satura e permeata della gelosia di Dio… Cos’è la gelosia? È uno dei momenti dell’amore, lo sfondo dell’amore, la tenebra originaria nella quale risplende il raggio dell’amore. L’amore è una libera scelta: tra molte persone, molti Io, sceglie con un atto di autonoma decisione interiore una persona e con lei allaccia un rapporto unico di intimità spirituale. Essa sta nella folla ma l’Io la chiama e la introduce nella dimora ornata del proprio cuore, ne disegna l’effigie su di uno sfondo di oro zecchino. E a ragione, perché questa effigie non è una caricatura come la disegnano gli uomini il più delle volte, non è nemmeno un ritratto dipinto da un sapiente. Essa è l’immagine di Dio, un’icona.” (p.536)

  Un'altra raccolta di articoli, “La prospettiva rovesciata”,[vii] si incentra nuovamente su tematiche di carattere artistico, puntando specialmente a sovvertire i concetti dell’unicità e dell’obbiettività della prospettiva, e della contemporanea “erroneità” di modi alternativi di concepire opere pittoriche. L’enfasi è ancora sulla validità del medioevo in alternativa ai prodotti post-rinascimentali: “Ma negli ultimi tempi cominciamo ormai a capire la compiutezza solo apparente di questa cultura e riconosciamo… che tutti gli spauracchi che ci hanno divisi dal Medioevo sono stati inventati dagli storici stessi; …Il pathos dell’uomo nuovo è di sfuggire ad ogni realtà, perché l’”io voglio” detti di nuovo legge attraverso la ricostruzione di una realtà fantasmagorica, anche se imprigionata in uno schema grafico. Invece, il pathos dell’uomo antico, come quello dell’uomo medievale, è l’accettazione, il generoso riconoscimento, l’affermazione di ogni genere di realtà come un bene, perché l’essere è il bene e il bene è l’essere. Il pathos dell’uomo medievale è l’affermazione della realtà in sé e fuori di sé, e perciò è l’obbiettività… Al soggettivismo dell’uomo nuovo appartiene l’illusionismo: al contrario non c’è niente di tanto lontano dai pensieri e dalle intenzioni dell’uomo medievale, le cui radici risalgono all’antichità, come la creazione di simulacri, e la vita tra i simulacri.” (p.90)

  Voglio concludere quelli che considero solo “assaggi” dell’eccezionale opera di Florenskij con le parole che scrisse dall’esilio delle Solovki alla moglie del figlio Vasilij in occasione della nascita del nipotino che non ebbe mai l’opportunità di abbracciare: 

  “La vita vola via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti sfugga l’istante della sua pienezza. Per questo è fondamentale apprendere l’arte del vivere, tra tutte la più ardua ed essenziale: colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella consapevolezza che esso non si ripeterà più come tale.” (20 aprile 1937)

  Ciò che più mi ha segnato, nei miei primi approcci a questo gigante, è stato, oltre all’esistenza cristallina, il carattere dei suoi scritti, profondissimi nella disquisizione teorica ma mai disgiunti dalla vita reale, ricchi di incitamenti ed indicazioni senza mai cadere nel mellifluo moralismo di cui gronda la nostra epoca.

      P.S. Dedico un caro pensiero alla memoria dell’indimenticabile Marco Nikiforos che mi ha presentato quest’autore.

               Alcune altre opere disponibili in italiano sono:                 

            “L’amicizia”                                Castelvecchi 2018 

            "Il cuore cherubico"                    San Paolo Edizioni 2014

             "Lo spazio e il tempo nell'arte"    Adelphi 1995

 

 

 

 

 

 



[i] Tratte da Pavel Florenskij “Non dimenticatemi”, Mondadori, Milano 2000 - Introduzione di Nicola Valentini – Nuova Ediz. 2018

[ii] “Il sale della terra”, Edizioni Qiqajon, Torino 2011

[iii] Sergej Bulgakov (1871-1944), uno dei maggiori teologi ortodossi, fu grande sodale di Florenskij.

[iv] “Non dimenticatemi” cit.

[v] “Le porte regali”, Adelphi, Milano 2021

[vi] “La colonna e il fondamento della verità”, Rusconi, Milano 1998 – edito anche da San Paolo Edizioni 2010

[vii] ”La prospettiva rovesciata”,  Adelphi, Milano 2020

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