Note su Pavel Florenskij
Florenskij, vestito di bianco, con S. Bulgakov, nel dipinto Filosofi di M. Nesterov, 1917
Per una sorta di riequilibrio nei confronti della decadenza dei tempi, anche nello scorso secolo si sono manifestate personalità di straordinario livello spirituale che attraverso vita, opere e scritti hanno svolto una funzione di testimonianza formidabile. “Ed ecco che ci sono degli ultimi che saranno i primi, e dei primi che saranno ultimi”. (Lc. 13,30)
La figura di
Padre Pavel Florenskij rientra, e non solo a mio avviso, in questo
ristrettissimo novero di luci il cui splendore non accenna ad attenuarsi.
CENNI BIOGRAFICI[i]
Nel 1910, dopo aver ottenuto la licenza
teologica, si sposa con Anna M. Giacintova e, pochi mesi dopo, è consacrato
presbitero ortodosso. Nello stesso anno è nominato docente straordinario di
Filosofia, orientandosi verso un realismo inteso come “realtà
trans-oggettiva dell’essere: l’essere si apre direttamente alla conoscenza”,
inteso in opposizione all’illuminismo, al soggettivismo e allo psicologismo. Il
tutto accompagnato dall’idealismo concreto, che si contrappone a tutte
le forme di idealismo astratto o trascendentale, con l’intento di scrutare in
ogni fenomeno il simbolo della realtà.
Dal 1911 al 1917 dirige la rivista teologica
“Messaggero Teologico”, influenzandola magistralmente ed è del 1914 il suo
capolavoro “La colonna e il fondamento della verità”, summa del pensiero
russo ortodosso.
L’orizzonte di “metafisica concreta”
pazientemente elaborato da Florenskij si regge su due inscindibili istanze: da
un lato il riconoscimento della natura dialettica del pensiero, della
differenza, della discontinuità, dell’antinomia che lacera ogni realtà vivente
e attraverso queste fenditure lascia percepire l’opera della Verità...;
dall’altro lato l’insopprimibile tensione verso l’unità dell’insieme, una
visione integrale della conoscenza e dell’esistenza come meta.
Dopo
la rivoluzione del 1917 egli si convince della necessità di una ferma
resistenza interna, senza scegliere la via dell’esilio. All’inizio degli anni venti
è nominato responsabile della commissione per la tutela del patrimonio
artistico del Monastero della Santissima Trinità e docente di “Analisi della
spazialità nell’opera d’arte” presso gli Atelier superiori tecnico-artistici di
stato fino al 1924. Oltre agli studi di filosofia del linguaggio, di teoria
dell’arte e della spazialità, Florenskij compie una serie di invenzioni
tecniche nel campo della fisica e cura la realizzazione di numerosi voci di
alcuni volumi della grande Enciclopedia tecnica (dal 1927 al 1933). Fondamentale
è inoltre il suo apporto scientifico ad opere di elettrificazione in quanto
ingegnere elettrotecnico ed esperto di materiali conduttori. Dal ’20 in poi la
sua produzione è vastissima e multiforme, toccando, tra l’altro, la
rivalutazione della concezione dello spazio nella Divina Commedia.
Successivamente gli spazi di libertà concessi dall’oppressione bolscevica si
chiusero, ed ecco che nel maggio del 1928 giunse il primo arresto con condanna
a tre anni di confino per Florenskij, definito “un oscurantista, una minaccia
per il potere sovietico”. La successiva revoca della sentenza non lo ricondusse
a miti consigli, tanto che Sergej Bulgakov[iii]
scrisse: “Non è stato un caso che egli non sia partito per l’estero, dove
poteva legittimamente attendersi un brillante avvenire scientifico e forse
anche la gloria, che per lui, comunque, era come se non esistessero nemmeno.
Sicuramente sapeva quello che lo aspettava in patria, troppo implacabilmente lo
testimoniavano i destini dei suoi connazionali, a cominciare dal bestiale
assassinio della famiglia imperiale fino alle innumerevoli violenze del potere.
Si può dire che la vita lo abbia posto di fronte alla scelta tra Solovki e
Parigi, e che egli abbia scelto la sua patria, fosse anche Solovki, perché
voleva condividere fino in fondo il destino del suo popolo. Padre Pavel non
voleva e non poteva organicamente diventare un émigré, separarsi
volontariamente o involontariamente dalla sua patria. Lui e il suo destino sono
la gloria e la grandezza della Russia, e nello stesso tempo il suo più grande
delitto”. Tornato a Mosca riprende la sua attività a pieno ritmo senza
rinnegare o celare nulla delle sue convinzioni, e presentandosi alle riunioni
immancabilmente in abito talare. Nel febbraio 1933 arriva un’altra condanna a
dieci anni di lager. Inviato, dopo dieci mesi di carcere duro, in Estremo
Oriente, collabora, in virtù delle sue conoscenze, alla “Stazione sperimentale
dei Ghiacci” ottenendo ottimi risultati, nonostante le condizioni di lavoro.
Nel luglio-agosto del 1934 incontra per l’ultima volta la moglie ed i tre figli
più piccoli. Nel settembre dello
stesso anno viene trasferito nelle isole Solovki, nel Mar Bianco, la sua ultima
destinazione. Lì troverà, dopo sofferenze fisiche e psicologiche documentate
dal suo epistolario[iv] un
plotone d’esecuzione la notte dell’8 dicembre 1937. Solo dopo vari anni la
moglie apprese con certezza della sua fine. Oggi appare chiaro che Padre Pavel
non solo si autoaccusò di colpe mai commesse per salvare altre vite a spese
della propria, ma che si oppose con fermezza ai tentativi di intercessione
anche autorevoli che si erano mossi in suo favore. Con una coerenza e una
rettitudine nel senso più completo del termine, accettò il martirio.
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La sua produzione sta da tempo uscendo
dall’oblio, e la sua figura così cristallina trova crescenti consensi a tutti i
livelli.
Ho inteso quindi proporre alcuni estratti
dalle opere di Padre Pavel disponibili in italiano, per fornire un’idea, sia
pure forzatamente parziale, della profondità delle vedute di chi è stato
paragonato a Leonardo e a Pascal. Nell’ambito dell’interpretazione dell’opera
d’arte, è da segnalare il suo testo “Le Porte regali”[v]
in cui con stringente dialettica e puntualissima documentazione svela gli
arcani sia della tecnica pittorica che del simbolismo, spiegando come non li si
possa affatto disgiungere.
In aperto contrasto con le concezioni
moderne, egli sottolinea il pericolo di “prendere… per immagini spirituali… le
fantasticherie che circondano, confondono e seducono l’anima al momento in cui
le si apre davanti la via verso l’altro mondo. Sono gli spiriti di questo
secolo” (p.36) Alcuni giudizi sono estremamente chiari: “La pittura religiosa
dell’Occidente, incominciata col Rinascimento, fu una radicale falsità
artistica e pur predicando a parole la prossimità e fedeltà alla realtà
raffigurata, gli artisti non avevano niente da fare con quella realtà che
pretendevano e ardivano di rappresentare...” (p.63)
La visione della non importanza
dell’individualità è ben specificata da questa frase: “..l’autentico artista
non vuole la cosa sua a ogni costo, ma vuole il bello, l’oggettivamente bello,
cioè l’artistica configurazione della verità delle cose e in genere non si cura
della questione meschina e vanitosa, se è il primo o centesimo a parlare della
verità.” (p.80)
“La pittura d’icone è un tipo d’arte che si
esprime in purezza, nella quale tutto è uno e unificato: la materia, la
superficie, il disegno, l’oggetto e il significato del tutto, condizioni di
contemplazione;… Viceversa la cultura rinascimentale nella sua essenza profonda
è eclettica e contraddittoria, è analiticamente frammentata, composta di
elementi fra loro ostili e tesi ciascuno all’autoaffermazione….” (p.167)
Questo concetto dell’aleatorietà
dell’autoaffermazione individuale lo si ritrova anche nel suo scritto
probabilmente maggiore, “La colonna o il fondamento della verità”[vi].
“La legge dell’identità che pretende
all’assoluta universalità, risulta assolutamente inesistente; vede il proprio
diritto nella propria immediatezza, ma ogni dato immediato, di qualunque
genere, la confuta, la infrange sempre e dovunque, nel tempo e nello spazio…
Dal punto di vista della legge dell’identità, tutto l’essere, mentre desidera
affermare se stesso, in realtà si annienta, perché si riduce ad un ammasso di
elementi ciascuno dei quali è un centro di negazione e soltanto di
negazione; in tal modo tutto l’essere è semplice negazione, un solo grande
“no”. La legge dell’identità è uno spirito di morte, di vuoto, di
annientamento.”(p.62)
Come non riferisci all’evangelico “Poiché chi vorrà salvare la sua vita, la
perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio, la troverà.”? (Mt.16,25)
Riporterò inoltre un breve stralcio che
riguarda la gelosia, questo sentimento che tanta esecrazione provoca nei
benpensanti, ed a cui ha dedicato una delle dodici lettere che costituiscono
l’opera.
“Tutta la Bibbia è satura e permeata della
gelosia di Dio… Cos’è la gelosia? È
uno dei momenti dell’amore, lo sfondo dell’amore, la tenebra originaria nella
quale risplende il raggio dell’amore. L’amore è una libera scelta: tra molte
persone, molti Io, sceglie con un atto di autonoma decisione interiore una persona
e con lei allaccia un rapporto unico di intimità spirituale. Essa sta nella
folla ma l’Io la chiama e la introduce nella dimora ornata del proprio cuore,
ne disegna l’effigie su di uno sfondo di oro zecchino. E a ragione, perché
questa effigie non è una caricatura come la disegnano gli uomini il più delle
volte, non è nemmeno un ritratto dipinto da un sapiente. Essa è l’immagine di
Dio, un’icona.” (p.536)
Un'altra raccolta di articoli, “La prospettiva
rovesciata”,[vii] si
incentra nuovamente su tematiche di carattere artistico, puntando specialmente
a sovvertire i concetti dell’unicità e dell’obbiettività della prospettiva, e
della contemporanea “erroneità” di modi alternativi di concepire opere
pittoriche. L’enfasi è ancora sulla validità del medioevo in alternativa ai
prodotti post-rinascimentali: “Ma negli ultimi tempi cominciamo ormai a capire
la compiutezza solo apparente di questa cultura e riconosciamo… che tutti gli
spauracchi che ci hanno divisi dal Medioevo sono stati inventati dagli storici
stessi; …Il pathos dell’uomo nuovo è di sfuggire ad ogni realtà, perché l’”io
voglio” detti di nuovo legge attraverso la ricostruzione di una realtà
fantasmagorica, anche se imprigionata in uno schema grafico. Invece, il pathos
dell’uomo antico, come quello dell’uomo medievale, è l’accettazione, il
generoso riconoscimento, l’affermazione di ogni genere di realtà come un bene,
perché l’essere è il bene e il bene è l’essere. Il pathos dell’uomo medievale è
l’affermazione della realtà in sé e fuori di sé, e perciò è l’obbiettività… Al
soggettivismo dell’uomo nuovo appartiene l’illusionismo: al contrario non c’è
niente di tanto lontano dai pensieri e dalle intenzioni dell’uomo medievale, le
cui radici risalgono all’antichità, come la creazione di simulacri, e la vita
tra i simulacri.” (p.90)
Voglio concludere quelli che considero solo
“assaggi” dell’eccezionale opera di Florenskij con le parole che scrisse
dall’esilio delle Solovki alla moglie del figlio Vasilij in occasione della
nascita del nipotino che non ebbe mai l’opportunità di abbracciare:
“La vita vola via come un sogno e spesso non
riesci a far nulla prima che ti sfugga l’istante della sua pienezza. Per questo
è fondamentale apprendere l’arte del vivere, tra tutte la più ardua ed
essenziale: colmare ogni istante di un contenuto sostanziale, nella
consapevolezza che esso non si ripeterà più come tale.” (20 aprile 1937)
Ciò che più mi ha segnato, nei miei primi
approcci a questo gigante, è stato, oltre all’esistenza cristallina, il
carattere dei suoi scritti, profondissimi nella disquisizione teorica ma mai
disgiunti dalla vita reale, ricchi di incitamenti ed indicazioni senza mai
cadere nel mellifluo moralismo di cui gronda la nostra epoca.
P.S. Dedico un caro pensiero alla memoria dell’indimenticabile Marco Nikiforos che mi ha presentato quest’autore.
“L’amicizia” Castelvecchi 2018
"Il cuore cherubico" San Paolo Edizioni 2014
[i] Tratte da Pavel Florenskij
“Non dimenticatemi”, Mondadori, Milano 2000 - Introduzione di Nicola Valentini –
Nuova Ediz. 2018
[ii] “Il sale della terra”, Edizioni
Qiqajon, Torino 2011
[iii] Sergej Bulgakov (1871-1944), uno dei
maggiori teologi ortodossi, fu grande sodale di Florenskij.
[iv] “Non dimenticatemi” cit.
[v] “Le porte regali”, Adelphi, Milano 2021
[vi] “La colonna e il fondamento della verità”, Rusconi, Milano 1998 – edito anche da San Paolo Edizioni 2010
[vii] ”La prospettiva rovesciata”, Adelphi, Milano 2020
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