"La sacralità dell'abitazione" - Estratti (II)
L’abitazione come Paradiso
terrestre
Nella sua più consueta rappresentazione
questa contrada primordiale è un ameno giardino che ha al centro l’Albero e al
tempo stesso la Fonte della Vita (o la “fontana dell’eterna giovinezza”) dalla
quale si dipartono a croce quattro fiumi. Se l’abitazione nomade, col suo riferimento
assiale equivalente all’Albero della Vita, in un certo senso rifonda l’Eden nel
luogo dove è collocata, la casa stanziale più spesso lo riproduce al suo
interno, ad esempio come un conclusus
hortus, benché il giardino “paradisiaco” possa anche, al contrario,
contenere dei padiglioni al suo interno, come nell’architettura persiana
dell’epoca sasanide (ca. 200-600 d.C.).
Il prototipo di questi horti per il mondo occidentale è la domus romana con i suoi due cortili quadrangolari, e specialmente
con il secondo, più interno e riservato, circondato da un portico (peristylium) con al centro una piscina
contornata da vegetazione e i locali abitativi disposti sul perimetro.[3] C’è una
sorta di continuità fra questo cortile e il chiostro dei monasteri e dei
conventi,[4]
anch’esso porticato nel contorno che ospita le celle, e con un pozzo al suo
centro. Nel chiostro il lento passo dei monaci lungo il perimetro è scandito
dalle colonne del portico, quasi gradi successivi del cammino spirituale; il
portico stesso, come la nicchia, è un ulteriore richiamo architettonico verso
l’interiorità.47omissis La somiglianza del chiostro con la
descrizione biblica del Paradiso terrestre viene accentuata dalla particolare
cura delle piante che vi sono coltivate e nella partizione dello spazio
realizzata da quattro sentieri che si diramano dal pozzo a imitazione dei fiumi
edenici.[5]
In alcuni monasteri o conventi il pozzo al
centro del chiostro è sostituito da un albero, […] accanto alla tenda o alla
casa, [e] in alcune culture, è d’obbligo piantare ‒ o
trapiantare, in caso di spostamento
‒ l’albero sacro, o un palo sacro che è anche il “palo del
sacrificio”.49omissis La specie arborea considerata sacra varia […]
ma evidentemente ognuna di esse è un sostituto dell’Albero edenico,50omissis
così come il Centro realizzato dall’edificazione rituale dell’abitazione ‒
come pure del tempio e della città ‒ è un
sostituto del Centro primordiale. Talvolta di fronte all’ingresso si trovano
invece due alberi, ad esempio due palme, come davanti ai templi dell’antico
Egitto c’erano due obelischi e spesso davanti alle moschee c’è una coppia di
minareti, con un significato sia di assialità che di dualità pertinente al
simbolismo della porta…[6]
Nell’abitazione familiare un valore edenico si evidenzia nella camera
matrimoniale o in un corrispondente spazio, nella tenda, riservato agli sposi.
(pp.21-24)
… Più in generale, tutto lo
spazio racchiuso nell’abitazione […] rimanda al simbolismo dell’Albero della
Vita e può rappresentare per la famiglia un Eden o un’Arca di Noè.[7]
[…] Questo «carattere introvertito dell’architettura, d’aspetto spesso povero
all’esterno, ma di una beltà e di una ricchezza inattese all’interno» e «questa
stessa forma dell’abitazione, trincerata verso il mondo circostante e aperta
sul cielo»[8]
appartengono evidentemente a epoche e civiltà che hanno voluto mettere un
baluardo contro il mondo profano, abbandonato sulla soglia insieme alle scarpe
che ne recano la polvere, e al tempo stesso hanno voluto mantenere aperta la
comunicazione con l’Alto, giacché «l’uomo delle società tradizionali non poteva
vivere che in uno spazio “aperto” verso l’alto… dov’è ritualmente possibile la
comunicazione con il mondo “trascendente”».[9]Ciò
viene realizzato simbolicamente lasciando la parte centrale e interiore
dell’edificio a cielo aperto[10] dove il clima lo consenta, ma può anche attuarsi con una copertura
a cupola oppure a volta (che del Cielo offre allora un'immagine, talvolta
enfatizzata da affreschi a trompe l'oeil raffiguranti il cielo aperto[11]),
più spesso realizzata in ville nobiliari, palazzi o luoghi di culto;[12] […]
L’architettura moderna, in forza delle possibilità offerte
dai nuovi materiali, ha ritenuto di potersi svincolare dalla necessità di una
copertura a volta e ha realizzato soffitti di varia forma privi di significato
simbolico, e per lo più ha cementato la parte superiore della stanza o
dell’edificio con un soffitto piatto e incolore, senza alcuna raffigurazione o
richiamo al Cielo.[13]
Così la casa ‒
o peggio la chiesa ‒
ha finito spesso per assumere forme che escludono qualsiasi
aspirazione verso l’Alto. L’edificio resta pervio solo verso il mondo terreno
con porte e finestre, e verso il sottosuolo tramite gli scarichi fognari. Non è
necessario spendere delle parole per mostrare a quale orientamento dello
spirito corrisponda tutto questo. (pp.24-27)
Non v’è necessità di chiosare una
trattazione così approfondita. Prendo spunto dalla parte finale che dimostra
come l’abbandono di un punto di vista tradizionale porti conseguenze a ogni
livello e che, in un certo senso, sia impossibile celarlo. Sulla (perduta)
qualità costruttiva delle chiese moderne così si esprime Angelo Crespi
nell’introduzione al suo tagliente saggio[i]:
“Le chiese contemporanee assomigliano
spesso a capannoni industriali, piscine, bar, autorimesse. Non hanno quasi mai
la facciata, e i campanili sono un labile ricordo. All’interno sono spaesanti e
asettiche come sale d’attesa e al posto della cupola c’è il soffitto che fa
pensare non a Dio ma all’inquilino del piano di sopra. I rosoni sono sostituiti
dai lucernai e le immagini sacre da anodine opere d’arte astratta che rimandano
a una vaga spiritualità senza trascendenza; in omaggio al minimal, gli altari
sembrano usciti da un catalogo Ikea. L’orrore dei nuovi edifici di culto è il
pegno che la Chiesa paga alla contemporaneità: dopo il Concilio
Vaticano II, essa ha dismesso le forme della tradizione preferendo le più
ardite stravaganze architettoniche o, peggio, aderendo con giubilo alla
burocrazia delle commissioni urbanistiche.”
Guénon[ii]
ha spiegato che, in un arco temporale esteso, il cambiamento dei materiali da
costruzione è indice della progressiva “solidificazione” del mondo. Il
passaggio dal legno alla pietra è stato il salto più significativo. Inoltre ha
fissato, a metà del XV secolo, “il compimento della rottura del mondo
occidentale con le proprie dottrine tradizionali”, segnato dalla perdita
dell’antica denominazione di “arte sacerdotale”.[iii]
L’apertura verso il basso,
conseguenza della chiusura verso l’alto, è la transizione dalla
“solidificazione”, improntata a un rigido materialismo, alla “dissoluzione”,
culla della falsa spiritalità.[iv]
[1] M.Eliade, Le sacré et le profane, Paris 1965, I, 6.
[2] A. Steuco, De perenni philosophia I, I.
[3] Anche la casa omerica aveva
una corte (aulè) circondata da
portici; tuttavia, secondo numerose testimonianze degli scrittori latini, la
casa romana deriva da quella etrusca, che rimpiazzò in un secondo tempo le
antiche capanne circolari con tetto curvo…
[4] Nella biografia di S.
Benedetto scritta da Gregorio Magno si sottolinea che il santo si sentiva e si
proclamava romano. Non stupisce che i Benedettini, conservatori della cultura
romana nei “secoli bui” susseguiti alla “caduta” dell’Impero d’Occidente,
abbiano perpetuato nella planimetria dei loro monasteri, imitata da quasi tutti
gli Ordini religiosi occidentali, l’impianto della domus romana; del resto lo stile da essi adottato era “romanico”
per definizione. È stato ipotizzato che questa preservazione dei valori della
romanità, inclusa la paziente trascrizione dei suoi testi, fosse stata
progettata dal monachesimo altomedievale
in vista di una futura restaurazione dell’Impero romano in Occidente; a posteriori è fin troppo facile
concludere che il successo di Carlo Magno sarebbe stato impossibile senza una
tale opera di preservazione.
[5] Nei chiostri medievali
prevalevano le piante da fiore, quella aromatiche e quelle officinali. Questa
scelta […] doveva contribuire a dare una valenza “edenica” al chiostro, poiché
si riteneva che le spezie prendessero il loro odore e il loro sapore
dall’Albero della Conoscenza (in virtù dell’assonanza linguistica e simbolica
tra sapore e sapere), e del resto erano in gran parte provenienti dall’Oriente
(e perciò più vicine all’Eden, giardino piantato in Oriente, secondo il libro
del Genesi)…
[6] …Si noti […] che le vecchie
ville siciliane hanno tipicamente due palme davanti alla facciata; queste considerazioni
inducono a rivedere con altri occhi anche i filari di alberi, e soprattutto i
doppi filari, ad esempio di cipressi, che conducono all’ingresso di
un’abitazione o di una chiesa; in quest’ultimo caso sembrano prolungarsi nella
doppia fila di colonne della navata, e non è fuori luogo ricordare che nei
templi egizi la doppia fila di colonne aveva decorazioni vegetali che ne
facevano altrettanti alberi sulla sponda del Nilo, rappresentato dalla corsia
centrale (cfr. J. Rykwert, op. cit.,
cap.6). Non è da escludere che proprio per questo significato dei filari di
alberi le vie cittadine medievali non siano mai state alberate ‒ benché vi fossero molti alberi
nei numerosi orti cittadini ‒ visto che la cosa non avrebbe avuto alcun
significato: l’uso nelle città di boulevards
alberati che non portano a nessun edificio sacro, per quanto possa risultare
gradevole, è tipico della modernità e della sua inosservanza del simbolismo. Lo
stesso si può dire del parco cittadino che, al contrario del conclusus hortus di tipo “edenico”, è
aperto da tutti i lati o al massimo da un’inferriata per motivi di ordine
pubblico, oltre a essere solitamente privo di alberi da frutto. Tornando ai
cipressi, questi alberi originari della Persia e sacri per gli zoroastriani
erano stati importati dai Romani; è improbabile che chi continua a piantarli in
Toscana e in altri luoghi sia consapevole del simbolismo suggerito dalla loro
forma colonnare. Tuttavia questo simbolismo in qualche modo si perpetua, e lo
si vede soprattutto nei cimiteri, dove il cipresso per tacito consenso segna il
sito della dimora dei defunti.
[7] Più recentemente sono esistiti
stili abitativi come il Biedermeyer, particolarmente orientati all’intimità
degli ambienti; in questi casi si tratta della degradazione sentimentale del
valore edenico dell’abitazione. Non si può certo negare che simili ambienti
siano confortevoli, ma l’Eden domestico così realizzato è totalmente privato e
profano: come ha scritto H. Sedlmayr, non si potrebbe immaginare una chiesa
Biedermeyer (cfr. Verlust der mitte,
trad. it. La perdita del centro cap.1). Simbolismo edenico e intimità
domestica non sono affatto obbligati a coesistere. Nel medioevo e nel
rinascimento la camera nuziale non era un locale sempre e solo riservato e
ancora in epoche relativamente recenti personaggi di rilievo incluse le coppie
regnanti ricevevano visitatori e davano udienza stando nel letto coniugale. Né
la casa medievale, in Occidente, era un luogo di particolare intimità per gli
uomini, che vivevano soprattutto per la strada; lo era semmai per le donne, che
vi passavano gran parte della giornata e vi esercitavano i mestieri femminili.
[8] T. Burckhardt, Fès, ville d’Islam, Milano 2007, p.8.
[9] M. Eliade, Le sacré et le profane, cit., I, 6.
[10] In tal modo si può anche
raccogliere l’acqua piovana, come si faceva nella domus romana grazie ai tetti a impluvio. […] Si realizza così una
corrispondenza tra le preghiere e il fuoco del focolare domestico che salgono
verso il Cielo, e la benedizione divina e l’acqua che scendono sulla terra.
[11] Osserva H. Sedlmayr che il
barocco è l’ultimo stile architettonico nel quale sussiste questa apertura
almeno virtuale (cfr. op. cit.). All’esterno
la cupola, soprattutto negli edifici sacri, può essere dipinta o piastrellata
con colori “celesti” come l’azzurro o “paradisiaci” come l’oro.
[12] Tipicamente le chiese
cristiane hanno la cupola e/o il tetto a spioventi. Nel mondo isòamico, dove
per le moschee viene adottata più spesso la tipologia a cielo aperto, la
copertura della cupola è riservata generalmente alle tombe dei santi. Fanno
eccezione alcune moschee a cupola, frequenti ad es. a Istanbul, dove gli
architetti si sono voluti misurare con la preesistente architettura bizantina
(ad es. secondo la committenza data da Solimano all’architetto Sinān, di
ispirarsi alla chiesa di Santa Sofia, per mostrare in tal modo il proprio
subentro alla guida dell’ex-impero bizantino).
[13] Fanno eccezione i soffitti
piatti dei moderni teatri all’italiana, a volte dipinti con immagini di cieli a
trompe l’oeil. Può darsi che ciò
dipenda da una reminiscenza della struttura a cielo aperto dei teatri
dell’epoca elisabettiana (fatti a immagine del cosmo, come è stato evidenziato
da F.A. Yates per il Globus di Shakespeare
e per altri teatri simili ‒ cfr. Theatre
of the world, London 1969).
[i] A. Crespi, Costruito da Dio. Perché le chiese contemporanee sono brutte e i musei
sono diventati le nuove cattedrali, Johan &
Levi Editore, Monza 2007.
[ii] R. Guénon, Maçons et charpentiers, in Études
Traditionnelles, dicembre 1946. Cap.1 di Studi sulla Massoneria e il
Compagnonaggio Vol.II,
Arktos, Carmagnola 1991.
[iii] Id., Autorité Spirituelle et Pouvoir Temporel, Éd. Guy Trédaniel, 1964, trad. it. Autorità spirituale e potere temporale, Luni, Milano 1995, p.32
[iv] Id., Le
Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Gallimard, Paris 1970, trad.
it. Il regno della quantità e i segni dei
tempi, Adelphi, Milano 2009, cap. XXIV, XXV.
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