"La sacralità dell'abitazione" - Estratti (III)
Avendo in mente la suddetta planimetria delle abitazioni regali, si può
comprendere anche il simbolismo inerente ai “palazzi” celesti, ad esempio nella
mistica ebraica. Nella letteratura delle Hekhalot
(=dei Palazzi), fiorita a partire dal 200 d.C. nell’ambito della Ma’aseh Merkavah “Opera del carro”,
intendendo il carro della visione di Ezechiele), l’accesso del miste ai Cieli è
raffigurato come un passaggio di palazzo in palazzo ‒
anche qui in numero di sette ‒ essendo il
cielo più alto assimilato a un palazzo più interno rispetto al precedente. Le
porte di tutte le Hekhalot sono
vigilate da angeli-guardiani, il che è comune anche alle raffigurazioni cristiane
dell’al di là e rimanda alla funzione simbolica dei portinai, che tra poco sarà
approfondita.[1] In
altre tradizioni le parti dell’abitazione ultraterrena si vigilano da sé, e ad
esempio nel Libro egiziano dei morti gli
stipiti della porta, i catenacci, il chiavistello, l’atrio, etc. delle dimore
dell’al di là non lasciano passare il defunto che non sappia recitarne i
rispettivi nomi;[2] nomi
che sono “parole di passo” nel senso più proprio del termine ed esprimono verbalmente
il grado di conoscenza che solo permette l’accesso, allo stesso modo in cui lo
consentono le risposte date alle domande degli angeli-guardiani o dei santi che
in alcune tradizioni custodiscono le porte delle dimore ultraterrene.[3]
È poi comune a molte rappresentazioni del
Paradiso, ad esempio nei tre monoteismi di ascendenza abramica, la
raffigurazione del Trono divino in tutto e per tutto uguale a un trono regale
circondato e ossequiato (o meglio, ufficiato) da “cortigiani” (angeli e santi);
Trono occupato da Uno «simile nell’aspetto a diaspro e tormalina».[4] Per
questo Sovrano la Terra è sgabello per i Suoi piedi,[5] e su
quest’altra analogia con le dotazioni di una reggia ci fermiamo, ricordando che
nella concezione tradizionale è il fasto terreno che risponde a un modello
celeste e non viceversa: tutto quello che c’è nel mondo è manifestazione
esteriore di archetipi o “idee”, e ogni manufatto deve riprodurre un modello
celeste.[6] Perciò
se la reggia è conformata a riprodurre e attuare in terra la Maestà e la
Giustizia divina, questo non è che un caso particolare di quanto avviene, sia
pure su piccola scala, nelle comuni abitazioni. (pp.31,32)
Lo stesso motivo può essere riprodotto sugli
stipiti delle comuni abitazioni ‒ che in alternativa possono raffigurare coppie di
alberi, serpenti etc. ‒ oppure
seppellito in effigie sotto la soglia con un valore, in questo caso, non più
che apotropaico.[8] Tali
raffigurazioni di regola esprimono la dualità della porta, mentre l’interno
rimanda all’Unicità divina[9]
e la soglia (limen in latino, che
designa anche l’architrave) è il limite tra l’una e l’altra, partecipando
perciò in qualche modo di entrambe. La dualità espressa dagli stipiti e dalle
figure composite è quella fra interiore ed esteriore, celeste e terreno,
“maschile” e “femminile”87omissis nell’accezione simbolica e
tradizionale dei termini, e tale dualità deve essere superata da chi si
presenti al cospetto dell’Unicità divina, lasciando fuori la parte mortale ed
esteriore che viene “tranciata” dai margini taglienti degli stipiti.[10]
[…]la duplicità si ripete nel più comune modello di porta dell’abitazione ‒
comune e quasi scontato almeno in Occidente ‒
collocata in un’apertura rettangolare sormontata da una lunetta semicircolare,
che rimandano al quadrato e al cerchio, dei quali sono un’approssimazione, e
perciò all’ambito terreno e a quello celeste. Quella che abbiamo chiamato una
lunetta è però un simbolo solare e non lunare, come evidenziato dal suo
consueto motivo ornamentale, rappresentato da alcuni raggi in materiale rigido
che lasciano passare la luce ma non gli estranei. A sottolineare ulteriormente
questo valore “solare” i raggi possono essere alternativamente lineari e
ondulati, il che corrisponde alla duplice irradiazione di luce e di calore che
emana dal Sole;[11]
spesso poi i raggi partono da un semicerchio più piccolo, che rappresenta
evidentemente il disco solare parzialmente visibile sull’orizzonte. Come ha
evidenziato, ancora una volta, A.K. Coomaraswamy, questo valore di “porta
solare” ‒
o meglio di una delle due “porte solari”, in relazione simbolica con i due
solstizi, essendo l’altra l’apertura sopra il focolare o un’altra simile
apertura, anche virtuale ‒ viene
spesso replicato nella più consueta forma del batocchio, nella quale un leone,
la cui criniera evoca palesemente la corona solare, tiene in bocca un anello che
serve sì a bussare, ma è anche la raffigurazione di un’apertura la cui natura
solare è spesso ribadita dal colore giallo del metallo utilizzato (e la
“pericolosità” di questo passaggio per la parte mortale dell’essere umano è
rappresentata dalle fauci del leone). Nella porta di casa, insomma, vi è
un’altissima densità di simboli assiali, duali e solari, spesso riprodotti
anche oggi per consuetudine (ma la loro scontata “normalità” sembra quasi
dimostrarne la necessità) benché ben pochi ormai ne colgano il significato.
[…] il custode della porta ha un aspetto duplice, terribile per la parte
mortale (come pure per chi non sia qualificato ad entrare) ma benevolo, di
psicopompo, per gli addetti ai lavori e per l’anima purificata dal suo carico
mortale che viene da lui trasportata al di là della soglia come in certi paesi
lo sposo porta la sposa in braccio dentro alla casa coniugale.[12]
[…] la stessa coppia di chiavi (o la coppia chiave-scettro) che è attributo di
Giano, (poi anche di San Pietro et al.) e sta a indicare l’apertura ai Piccoli
e ai Grandi Misteri.[13] (pp.34-38)
[1] Su veda quanto diremo più
avanti sui “pubblicani”. La porta degli inferi è invece di regola spalancata e
non vigilata dall’esterno, come nella rappresentazione dell’al di là data da
Virgilio nell’Eneide.
[2] Il c.d. Libro egiziano dei morti era appunto la raccolta di formule che
dovevano consentire al defunto di riprendere vita nell’al di là, superare il
giudizio divino ed essere ammesso nelle dimore ultraterrene. Veniva collocato
nel sarcofago insieme alla mummia.
[3] Come ad esempio le domande
fatte a Dante dall’angelo-guardiano della porta del Purgatorio.
[4] Apocalisse 4, 3. Altre volte, come in alcuni mosaici bizantini, il
Trono è vuoto, in attesa di essere occupato da Cristo risorto.
[5] Cfr. Isaia 66,1: «Così parla il Signore: “Il cielo è il mio trono, e la
terra è lo sgabello dei miei piedi”. Quale casa mi costruirete e quale sarà il
luogo del mio riposo?».
[6] Cfr. Platone, Timeo; A.K. Coomaraswamy, «Vedic
exemplarism», in: Selected papers,
cit., vol.II, pp. 177-197. Il “modello celeste” del Tempio di Gerusalemme è
menzionato in I Cronache, 28, 10-13.
[7] Il simbolismo della coppia di
leoni è anche connesso con la Giustizia, e perciò compare sulle scalinate e sui
braccioli dei troni dai quali viene esercitata, a partire da quello di Salomone
(cfr. I Re, 7,7; 10, 19); nel
medioevo le sentenze dei tribunali ecclesiastici erano pronunciate nel nartece,
sulla porta o sulle gradinate delle cattedrali “inter leones et coram populo” (cfr. L. Charbonneau-Lassay, «La
chiave di volta del nartece di Saint-Vincent de Mâcon», Archivio dell’Unicorno, 3, 2008, pp. 7-10). La stessa decorazione
si ritrova all’estremità dei braccioli di alcune sedie rinascimentali, come a
sottolineare l’autorità di chi vi si siede.
[8] Cfr. A.K. Coomaraswamy,
«Simplegades», in: Selected papers,
cit., I, pp. 521-544; «The guardians of the Sun-Door and the sagittarian type»,
in: Guardians of the Sundoor, cit.,
pp. 21-64.
[9] È per lo stesso motivo,
presumiamo, che sullo stipite della porta d’ingresso della case ebraiche il
foglio custodito nella mezuzah
ammonisce: «Shema’ Israel, ascolta
Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Deuteronomio 6,4; cfr. anche Isaia, 48, 12). La mezuzah è un astuccio di materiale possibilmente pregiato che
custodisce un foglio rispondente alle disposizioni del Deuteronomio (cfr. 6, 9 e 11, 20), di scrivere i precetti divini
«sugli stipiti (mezuzot) della tua
casa e della tua città». Che essa possa avere un valore protettivo dipende
dall’attestazione di fede implicita nell’attestazione dell’Unicità divina (cfr.
G. Busi, «Mezuzah: parole divine, non magia« IlSole24ORE, 81, 24-3-2002, p.30).
[10] Tutti debbono lasciare fuori
almeno qualcosa di proprio entrando in un luogo sacro, il che il più delle
volte si traduce nel lasciare un’elemosina agli immancabili mendicanti, che
assumono così il ruolo di esattori. Nell’esegesi dei padri dell’Esicasmo i
pubblicani, cioè gli esattori delle tasse più volte citati nel Vangelo, sono
stati interpretati come guardiani delle porte dei cieli, ai quali è necessario
pagare un “pedaggio” (sacrificando pezzo a pezzo la propria esteriorità) per
poter accedere a superiori gradi di realizzazione spirituale (D. Raccanello,
comunicazione personale). Quando si entra in un’abitazione, l’abbandono della
parte esteriore è simboleggiata comunemente dall’atto di togliersi le
calzature, e con esse la “sporcizia” del “mondo”.
[11] Cfr. R.Guénon, Symboles, cit. cap.60.
[12] Cfr. A.K. Coomaraswamy, loc. cit., dove i due volti di Giano
vengono ricondotti a tale interpretazione piuttosto che a quella più banale che
li vuole rivolti al futuro e al passato. A questo proposito si rammenta che
l’etimologia tradizionale della porta
attribuisce l’origine di questo nome all’atto di sollevare (portare in latino) l’aratro col quale si
tracciava il sacro solco di fondazione della città. In corrispondenza delle
porte l’aratro doveva infatti essere sollevato perché diversamente nessuno
sarebbe potuto entrare, essendo il solco inviolabile.
[13] Cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap.18. Sarà appena il
caso di osservare che anche la chiave ha una forma assiale, con un anello
all’estremità, il che ripropone per l’ennesima volta l’axis mundi con un capo/apertura per l’uscita dai gradi cosmici
dell’essere. L’altra estremità della chiave che ingrana nella serratura e la
apre partecipando al movimento impresso dalla mano all’anello racchiude il
“segreto” che permette tale operazione: l’insegnamento riservato e l’autorità
di chi può trasmetterlo e impartirlo in questo mondo essendo mosso dalla (e
collegato con la) “mano di Dio”. La serratura, come il portinaio, lascia
facilmente entrare il detentore della chiave e costituisce un ostacolo per chi
non ce l’abbia; tuttavia, secondo un’altra metafora, “le porte dei Cieli si
aprono con la violenza” perché ala fede e l’amore possono scardinarle.
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