"La sacralità dell'abitazione" - Estratti (IV)
- San Gimignano -
Al di fuori di tali degenerazioni, la torre
(o il campanile o il minareto, etc.) è ancora una volta una parte assiale dell’edificio,
e nelle case medievali era la parte più fortificata, tanto che Dante prende la
torre come esempio di resistenza contro forze ed eventi avversi;[5] ed è per
l’inviolabilità della torre che alla SS: Vergine fu dato nel medioevo
l’attributo di turris eburnea.[6] Anche
per queste ragioni la torre del palazzo comunale e/o il campanile della
cattedrale hanno rappresentato per secoli il riferimento della comunità urbana,
sia a livello visivo (essendo visibili da lontano) che emblematico e simbolico.
Perciò sempre Dante ha scritto che il sovrano del Sacro Romano Impero dovrebbe
essere in grado di discernere «de la vera
cittade almen la torre»,[7] riferendosi in questo caso
alla città di Dio.
Un’altra struttura che indica la direzione
verso l’Alto è la scala, ubiquitariamente simbolo dei gradi dell’essere e
dell’ascesa spirituale.[8] […] Conosciute già dai
romani, e prima ancora in epoca biblica,[9] le scale a chiocciola
fondono comunque elevazione e assialità nella loro forma spirale, come accade
in emblemi equivalenti quali il caduceo, o nelle raffigurazioni dell’Albero del
paradiso col serpente attorcigliato su di esso.[10] Il valore simbolico
dell’ascesa sembra esprimersi più nei templi che nelle abitazioni, perché
mentre nel tempio a gradinate la cella più sacra si trova nella parte più
elevata, prima dell’invenzione degli ascensori le case a più ripiani avevano la
parte nobile al pian terreno o tutt’al più al primo piano (come in alcune case
e palazzi medievali e rinascimentali), mentre le parti superiori erano
assegnate ai servi e/o ai magazzini. […]
Nelle abitazioni a pianta quadrangolare la
carpenteria può sostenere un tetto a quattro spioventi con un’apertura centrale
al vertice, il che ripropone lo stesso simbolismo della montagna […] (pp.44-47)
È unanime la tradizione per la quale il
materiale costruttivo primordiale è stato preso dal regno vegetale.[15] Secondo la tradizione
indù l’umanità decaduta dallo stato primordiale (nel quale era vissuta all’aperto)
abitò dapprima in alberi-case, identificati con Brahman, che soddisfacevano le
loro esigenze e che rappresentavano il prototipo dell’abitazione; a seguito di
un’ulteriore decadenza essi scomparvero e si dovettero abbattere alberi e
costruire delle capanne, il che richiese riti compiuti nell’oscurità, affinché
gli spiriti abbandonassero la pianta e questa potesse morire. Il legno così
ottenuto conserva la natura di quello dello Skhamba
primordiale, che è Brahman in quanto causa operante immanente all’universo, che
“risiede” al centro di esso e lo sostiene: come tale è idoneo anche alla costruzione del tempio.
In un processo di progressiva solidificazione, il legno venne sostituito più
tardi dal mattone, terra passata attraverso l’azione del fuoco e corrispondente
al corpo ricostituito di Prajāpati-Agni, nonché al corpo del sacrificatore, e
infine fu impiegata la pietra tagliata.[16] (pp.49-53)
[1] È probabile che il gotico
debba molto all’architettura islamica e alla conoscenza di essa derivata dalle
crociate. Un ruolo importante sembra averlo avuto l’abate Suger, custode presso
l’abbazia di Saint-Denis delle opere di Dionigi Aeropagita (all’epoca si
identificavano erroneamente il martire al quale era dedicata la basilica e il
teologo che si era firmato col nome di un discepolo di San Paolo). La
“metafisica della luce”, che è propria di questi scritti, avrebbe ispirato
l’abate a promuovere, nella ristrutturazione della basilica, la costruzione di
grandi vetrate istoriate, nelle quali la luce solare prendeva forma e colore
così come l’indifferenziata Luce divina si rifrange nella forma dei singoli
esseri. Le pareti diventavano in tal modo trasparenti e perdevano la funzione
di sostegno, surrogata da snelli pilastri e colonne…
[2] Cfr. T. Burckardt, Chartres
und die Geburt der Kathedrale, Lausanne 1962; ried. Chartres et la naissance de la
Cathédrale, Milano 1995.
[3] Anche questo è un “vizio”
tipico della casta cavalleresco-nobiliare, che ripetutamente aspira al primato
nei confronti del clero; nei termini dell’Induismo è la rivolta degli Kshatriya contro i Brahmana e tale è secondo R. Guénon il senso dell’impresa
costruttiva di Nimrod, attuata contro la casta sacerdotale caldea (cfr. R.
Guénon, Symboles, cit., cap. 20).
Sulla propensione al gigantismo degli Kshatriya,
la loro equivalenza con i “giganti” della tradizione ebraica e greco-romana, e
la presenza di tali temi in Dante Alighieri, cfr. il nostro studio «La philosophia perennis nel pensiero di
Dante -I», Perennia Verba, 2, 1998,
pp. 36-62.
[4] Nella tradizione islamica una
profezia escatologica preannuncia la costruzione di edifici sempre più alti
negli ultimi tempi del mondo per il crescente orgoglio dell’umanità.
[5] «Sta come torre ferma che non crolla» (Purgatorio, V, 14)
[6] “Torre d’avorio”, nelle litanie lauretane.
[7]
Ibid.
XVI, 96.
[8] Cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap.54. Anche questo simbolo può essere inteso sia in senso ascendente che in senso discendente.
[9] Una scala a chiocciola è
descritta nel Tempio eretto da Salomone a Gerusalemme (cfr. I Re, 6, 8).
[10] Questo e altri simboli
analoghi rimandano fra l’altro all’anatomia “sottile” dell’essere umano,
descritta nello yoga tantrico (ma non solo in esso) in termini di correnti
disposte a spirale intorno alla colonna vertebrale. Le due spirali, destrorsa e
sinistrorsa, rimandano anche al simbolismo delle “due vie” (delle quali abbiamo
trattato nei nostri studi: «Il percorso di Dante nei tre mondi – I. Le due
vie», L’Idea. Il giornale di pensiero. VII/3,
2001, pp.52-66; «Il significato simbolico delle buone maniere», cit.). Qui
citeremo solo che andare “verso sinistra” corrisponde a una via di “perdizione”
o di “morte” che ha trovato applicazione pratica nell’architettura militare,
nella quale si facevano salire verso sinistra i gradini delle scale a
chiocciola, per ostacolare l’uso della
spada e dello scudo ai nemici che avessero tentato di assalirle.
[11] Cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap.46; Études sur la Franc-Maçonnerie et le
Compagnonnage, cit., II, p.9-10. Quest’arte è all’origine del nome stesso
della casa in greco e in latino (domus e
dòmos) e di altri termini connessi
all’edificare, che derivano da una radice dam
collegata alla più breve dâ che
significa “legare” «perocché edificare
equivalga a compaginare, collegare insieme i materiali da costruzione» (O.
Pianigiani, op. cit., alla voce «Duomo
e dòmo»).
[12] Gli edifici in legno sono in
effetti facilmente smontabili, soggetti agli incendi e deperibili. Tuttavia con
alcuni accorgimenti costruttivi (basamento in pietra, scelta e stagionatura del
legname) e con la sostituzione delle assi deteriorate essi possono avere una durata lunghissima. Il
tempio di Brahmor nella regione himalayana di Chamba risalirebbe all’VIII
secolo d.C. (cfr. S. Kramrisch, op. cit.,
I, p.102); altri simili edifici molto antichi sono nel Kerala. Alcuni fanno
risalire al XII secolo, o anche prima, Il Kasthamandap di Kathmandu; alcuni
templi in legno del Malabar risalgono al XIV secolo. La più antica stav-kirke della Norvegia è in piedi dal
XII secolo; nel resto dell’Europa centro-settentrionale esistono altre chiese
lignee pluricentenarie.
[13] Cfr. E. Viollet-le-Duc,
«Charpente», in: Enciclopédie Médiévale,
cit. pp.259-283.
[14] Nell’erezione del tempio di
Gerusalemme, del ferro non fu neanche udito il suono (cfr. I Re, 6,7); il Tempio e la reggia di Salomone erano invece
riccamente rivestiti d’oro. È evidente il valore simbolico dell’oro, luminoso e
solare, contrapposto a quello del ferro, oscuro e marziale; nelle tradizioni
indo-europee questi due metalli emblematici della prima e dell’ultima età
dell’umanità e della relativa condizione spirituale, con passaggi intermedi
rappresentati dall’età dell’argento e del bronzo (o del rame). Nella Bibbia la
progressiva decadenza dei grandi imperi è espressa negli stessi termini (cfr. Daniele, 2, 31 ss.), tanto che Dante
l’assimilerà al tema delle quattro età riunendo tutto in un’unica immagine
(cfr. Inferno, XIV, 94-120).
L’obbligo di non mescolare materiali, ad esempio animali e vegetali, è esistito
nella confezione degli abiti, come abbiamo ricordato nel nostro studio
sull’argomento. Più in generale il mondo tradizionale tende a rifuggire dalle
commistioni, la maggior parte della quali sono simbolicamente disarmoniche; ciò
vale anche per i colori, come è stato evidenziato dagli studi di M. Pastoureau.
Non si tratta di una sorta di fobia per la mescolanza come sembra ritenere
quest’ultimo, ma di una precisa scelta di ordine simbolico, tant’è che
particolari accostamenti sono leciti e desiderabili.
[15] Daremo per scontato che l’abitazione
più antica non sia stata la caverna. Con A.K. Coomaraswamy, M. Eliade, et al. considereremo come dei santuari
le caverne anticamente decorate da mano umana e non riterremo che i resti di
cibo, o meglio di pasti rituali trovati in tali siti possano dimostrare la
natura abitativa più di quanto lo potrebbero resti di pane e di vino ritrovati
in chiese crollate (e del resto tanti santuari orientali sono tuttora molto
“vissuti” come lo erano, normalmente, anche le cattedrali medievali). A questo
errore di attribuzione si associano abitualmente correlati caricaturali, come
l’immagine del “cavernicolo” dalla chioma incolta, armato di clava e malamente
coperto di pelli (pagine di efficace ironia su questo argomento si trovano nel
saggio The everlasting man di G.K.
Chesterton, 1925), mentre le pitture rupestri testimoniano un grado progredito
di civiltà, di confezione delle vesti e di acconciature dei capelli. Tutto ciò
ovviamente non esclude che sia esistito ed esista tuttora il trogloditismo, ma
solo che esso sia «legato alle condizioni più basse di civiltà… completato da
sistemi costruttivi vari, è piuttosto un portato di tempi assai progrediti» (R.
Biasotti «Abitazione», in AA.VV., Enciclopedia
Italiana, cit. vol.I, 1929, p.79 ss.). Presso le civiltà più recenti le
caverne abitate, nelle quali prevale la pianta circolare, sono spesso in tutto
o in parte artificiali, talvolta comunicanti tra loro o comunque organizzate in
villaggi anche di notevole estensione (cfr. R. Battaglia, «Caverna», ibid., vol. IX, 1931, p.562 ss.).
[16] Cfr. S. Kramrisch, op. cit., pp. 116-119. Qui si fa
menzione anche del bambù, materiale corrispondente alla manifestazione sottile,
che per la sua flessibilità è particolarmente adatto alla costruzione di archi
e cupole, prototipi di quelli in muratura.
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