"La sacralità dell'abitazione" - Estratti (IV)

 

- San Gimignano -


    Alcuni stili architettonici hanno particolarmente privilegiato la verticalità aumentando l’altezza delle pareti e dando apparente leggerezza ad archi e pilastri, grazie all’uso di dell’arco a sesto acuto e delle crociere. Tali artefici architettonici, sviluppati prima in Oriente (nell’architettura islamica), hanno poi conosciuto anche in Occidente una grande fortuna; tuttavia l’enfasi data alla verticalità trovò dei detrattori che ironicamente definirono “gotico”, cioè barbarico, questo stile costruttivo nato oltralpe.[1] Il fatto è che un eccesso di altezza facilmente offusca la cristallina purezza simbolica dello slancio verso l’Alto e perciò lo stile gotico è stato considerato più consono alle aspirazioni della casta cavalleresco-nobiliare, non scevre di sentimentalismo, che a quelle contemplative dei monaci, meglio espresse dallo stile romanico.[2] O peggio l’eccesso di altezza può rivelare un orgoglio del quale l’erezione della torre di Babele è il ben noto prototipo.[3] L’Occidente  medievale conobbe sia l’orgoglio dei magnati che affermavano la  loro potenza innalzando torri sempre più alte e costose, sia l’umiltà degli ordini mendicanti che per motivi opposti rinunciarono nelle loro chiese ad erigere il campanile. Per dimostrare potenza gli uomini hanno spesso eretto edifici in grande scala, tali da far sentire piccolo e vulnerabile chi vi entrasse. L’umanità ha assistito a gare tra religioni diverse (o tra diramazioni della stessa religione) a costruire il tempio più alto e più grande e oggi, grazie a nuove tecniche costruttive, conosce l’orgoglio delle nazioni che gareggiano a costruire l’edificio più alto del mondo.[4]

   Al di fuori di tali degenerazioni, la torre (o il campanile o il minareto, etc.) è ancora una volta una parte assiale dell’edificio, e nelle case medievali era la parte più fortificata, tanto che Dante prende la torre come esempio di resistenza contro forze ed eventi avversi;[5] ed è per l’inviolabilità della torre che alla SS: Vergine fu dato nel medioevo l’attributo di turris eburnea.[6] Anche per queste ragioni la torre del palazzo comunale e/o il campanile della cattedrale hanno rappresentato per secoli il riferimento della comunità urbana, sia a livello visivo (essendo visibili da lontano) che emblematico e simbolico. Perciò sempre Dante ha scritto che il sovrano del Sacro Romano Impero dovrebbe essere in grado di discernere «de la vera cittade almen la torre»,[7] riferendosi in questo caso alla città di Dio.

   Un’altra struttura che indica la direzione verso l’Alto è la scala, ubiquitariamente simbolo dei gradi dell’essere e dell’ascesa spirituale.[8] […] Conosciute già dai romani, e prima ancora in epoca biblica,[9] le scale a chiocciola fondono comunque elevazione e assialità nella loro forma spirale, come accade in emblemi equivalenti quali il caduceo, o nelle raffigurazioni dell’Albero del paradiso col serpente attorcigliato su di esso.[10] Il valore simbolico dell’ascesa sembra esprimersi più nei templi che nelle abitazioni, perché mentre nel tempio a gradinate la cella più sacra si trova nella parte più elevata, prima dell’invenzione degli ascensori le case a più ripiani avevano la parte nobile al pian terreno o tutt’al più al primo piano (come in alcune case e palazzi medievali e rinascimentali), mentre le parti superiori erano assegnate ai servi e/o ai magazzini. […]

   Nelle abitazioni a pianta quadrangolare la carpenteria può sostenere un tetto a quattro spioventi con un’apertura centrale al vertice, il che ripropone lo stesso simbolismo della montagna […] (pp.44-47)

 Materiali e riti per l’abitazione

    L’arte di edificare a partire da materiali sciolti come legname o pietre consiste nel “riunire ciò che è sparso” allo scopo di costruire un microcosmo con ordine, regolarità e corrispondenza al macrocosmo preso come modello e archetipo.[11] Di ciò la carpenteria rappresenta lo stadio più antico, essendo la capanna, come la casa in legno, una forma d’abitazione meno stanziale e “solidificata” della casa in muratura,[12]che continua comunque ad avere necessità dell’arte del carpentiere per l’intelaiatura delle pareti o almeno per il sostegno del tetto. Un’arte, quella della carpenteria, che era autosufficiente, e che tale continuò a rimanere fino al XV secolo, perché fino ad allora il legname si sorreggeva perfettamente grazie agli incastri realizzati con grande maestria.[13] Solo successivamente, e per la decadenza di un’arte che aveva conosciuto un continuo progresso, divenne necessario il contributo del fabbro, per la fabbricazione di chiodi e staffe; il che comportò una “contaminazione” col  ferro foriera di valenze simboliche fortemente negative.[14]

   È unanime la tradizione per la quale il materiale costruttivo primordiale è stato preso dal regno vegetale.[15] Secondo la tradizione indù l’umanità decaduta dallo stato primordiale (nel quale era vissuta all’aperto) abitò dapprima in alberi-case, identificati con Brahman, che soddisfacevano le loro esigenze e che rappresentavano il prototipo dell’abitazione; a seguito di un’ulteriore decadenza essi scomparvero e si dovettero abbattere alberi e costruire delle capanne, il che richiese riti compiuti nell’oscurità, affinché gli spiriti abbandonassero la pianta e questa potesse morire. Il legno così ottenuto conserva la natura di quello dello Skhamba primordiale, che è Brahman in quanto causa operante immanente all’universo, che “risiede” al centro di esso e lo sostiene: come tale  è idoneo anche alla costruzione del tempio. In un processo di progressiva solidificazione, il legno venne sostituito più tardi dal mattone, terra passata attraverso l’azione del fuoco e corrispondente al corpo ricostituito di Prajāpati-Agni, nonché al corpo del sacrificatore, e infine fu impiegata la pietra tagliata.[16]   (pp.49-53)

    I brani scelti in quest’occasione mi sembrano già così ricchi da non richiedere ulteriori considerazioni. Emerge dall’esame delle tecniche costruttive quanto esse siano legate alla natura interiore dell’uomo, in relazione alla qualità spirituale dei tempi e dei popoli. Una società tradizionale appare sempre come un insieme organico informato da un’unità di intenti condivisa, agli antipodi dell’uniformità disumanizzante imposta dalla “modernità” o, peggio ancora, dalla “post-modernità”. Illuminanti restano, a questo riguardo, le pagine del Regno della quantità.



[1] È probabile che il gotico debba molto all’architettura islamica e alla conoscenza di essa derivata dalle crociate. Un ruolo importante sembra averlo avuto l’abate Suger, custode presso l’abbazia di Saint-Denis delle opere di Dionigi Aeropagita (all’epoca si identificavano erroneamente il martire al quale era dedicata la basilica e il teologo che si era firmato col nome di un discepolo di San Paolo). La “metafisica della luce”, che è propria di questi scritti, avrebbe ispirato l’abate a promuovere, nella ristrutturazione della basilica, la costruzione di grandi vetrate istoriate, nelle quali la luce solare prendeva forma e colore così come l’indifferenziata Luce divina si rifrange nella forma dei singoli esseri. Le pareti diventavano in tal modo trasparenti e perdevano la funzione di sostegno, surrogata da snelli pilastri e colonne…

[2] Cfr. T. Burckardt,  Chartres und die Geburt der Kathedrale, Lausanne 1962; ried. Chartres et la naissance de la  Cathédrale, Milano 1995.

[3] Anche questo è un “vizio” tipico della casta cavalleresco-nobiliare, che ripetutamente aspira al primato nei confronti del clero; nei termini dell’Induismo è la rivolta degli Kshatriya contro i Brahmana e tale è secondo R. Guénon il senso dell’impresa costruttiva di Nimrod, attuata contro la casta sacerdotale caldea (cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap. 20). Sulla propensione al gigantismo degli Kshatriya, la loro equivalenza con i “giganti” della tradizione ebraica e greco-romana, e la presenza di tali temi in Dante Alighieri, cfr. il nostro studio «La philosophia perennis nel pensiero di Dante -I», Perennia Verba, 2, 1998, pp. 36-62.

[4] Nella tradizione islamica una profezia escatologica preannuncia la costruzione di edifici sempre più alti negli ultimi tempi del mondo per il crescente orgoglio dell’umanità.

[5] «Sta come torre ferma che non crolla» (Purgatorio, V, 14)

[6] “Torre d’avorio”, nelle litanie lauretane.

[7] Ibid. XVI, 96.

[8] Cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap.54. Anche questo simbolo può essere inteso sia in senso ascendente che in senso discendente.

[9] Una scala a chiocciola è descritta nel Tempio eretto da Salomone a Gerusalemme (cfr. I Re, 6, 8).

[10] Questo e altri simboli analoghi rimandano fra l’altro all’anatomia “sottile” dell’essere umano, descritta nello yoga tantrico (ma non solo in esso) in termini di correnti disposte a spirale intorno alla colonna vertebrale. Le due spirali, destrorsa e sinistrorsa, rimandano anche al simbolismo delle “due vie” (delle quali abbiamo trattato nei nostri studi: «Il percorso di Dante nei tre mondi – I. Le due vie», L’Idea. Il giornale di pensiero. VII/3, 2001, pp.52-66; «Il significato simbolico delle buone maniere», cit.). Qui citeremo solo che andare “verso sinistra” corrisponde a una via di “perdizione” o di “morte” che ha trovato applicazione pratica nell’architettura militare, nella quale si facevano salire verso sinistra i gradini delle scale a chiocciola, per ostacolare  l’uso della spada e dello scudo ai nemici che avessero tentato di assalirle.

[11] Cfr. R. Guénon, Symboles, cit., cap.46; Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, cit., II, p.9-10. Quest’arte è all’origine del nome stesso della casa in greco e in latino (domus e dòmos) e di altri termini connessi all’edificare, che derivano da una radice dam collegata alla più breve che significa “legare” «perocché edificare equivalga a compaginare, collegare insieme i materiali da costruzione» (O. Pianigiani, op. cit., alla voce «Duomo e dòmo»).

[12] Gli edifici in legno sono in effetti facilmente smontabili, soggetti agli incendi e deperibili. Tuttavia con alcuni accorgimenti costruttivi (basamento in pietra, scelta e stagionatura del legname) e con la sostituzione delle assi deteriorate  essi possono avere una durata lunghissima. Il tempio di Brahmor nella regione himalayana di Chamba risalirebbe all’VIII secolo d.C. (cfr. S. Kramrisch, op. cit., I, p.102); altri simili edifici molto antichi sono nel Kerala. Alcuni fanno risalire al XII secolo, o anche prima, Il Kasthamandap di Kathmandu; alcuni templi in legno del Malabar risalgono al XIV secolo. La più antica stav-kirke della Norvegia è in piedi dal XII secolo; nel resto dell’Europa centro-settentrionale esistono altre chiese lignee pluricentenarie.

[13] Cfr. E. Viollet-le-Duc, «Charpente», in: Enciclopédie Médiévale, cit. pp.259-283.

[14] Nell’erezione del tempio di Gerusalemme, del ferro non fu neanche udito il suono (cfr. I Re, 6,7); il Tempio e la reggia di Salomone erano invece riccamente rivestiti d’oro. È evidente il valore simbolico dell’oro, luminoso e solare, contrapposto a quello del ferro, oscuro e marziale; nelle tradizioni indo-europee questi due metalli emblematici della prima e dell’ultima età dell’umanità e della relativa condizione spirituale, con passaggi intermedi rappresentati dall’età dell’argento e del bronzo (o del rame). Nella Bibbia la progressiva decadenza dei grandi imperi è espressa negli stessi termini (cfr. Daniele, 2, 31 ss.), tanto che Dante l’assimilerà al tema delle quattro età riunendo tutto in un’unica immagine (cfr. Inferno, XIV, 94-120). L’obbligo di non mescolare materiali, ad esempio animali e vegetali, è esistito nella confezione degli abiti, come abbiamo ricordato nel nostro studio sull’argomento. Più in generale il mondo tradizionale tende a rifuggire dalle commistioni, la maggior parte della quali sono simbolicamente disarmoniche; ciò vale anche per i colori, come è stato evidenziato dagli studi di M. Pastoureau. Non si tratta di una sorta di fobia per la mescolanza come sembra ritenere quest’ultimo, ma di una precisa scelta di ordine simbolico, tant’è che particolari accostamenti sono leciti e desiderabili.

[15] Daremo per scontato che l’abitazione più antica non sia stata la caverna. Con A.K. Coomaraswamy, M. Eliade, et al. considereremo come dei santuari le caverne anticamente decorate da mano umana e non riterremo che i resti di cibo, o meglio di pasti rituali trovati in tali siti possano dimostrare la natura abitativa più di quanto lo potrebbero resti di pane e di vino ritrovati in chiese crollate (e del resto tanti santuari orientali sono tuttora molto “vissuti” come lo erano, normalmente, anche le cattedrali medievali). A questo errore di attribuzione si associano abitualmente correlati caricaturali, come l’immagine del “cavernicolo” dalla chioma incolta, armato di clava e malamente coperto di pelli (pagine di efficace ironia su questo argomento si trovano nel saggio The everlasting man di G.K. Chesterton, 1925), mentre le pitture rupestri testimoniano un grado progredito di civiltà, di confezione delle vesti e di acconciature dei capelli. Tutto ciò ovviamente non esclude che sia esistito ed esista tuttora il trogloditismo, ma solo che esso sia «legato alle condizioni più basse di civiltà… completato da sistemi costruttivi vari, è piuttosto un portato di tempi assai progrediti» (R. Biasotti «Abitazione», in AA.VV., Enciclopedia Italiana, cit. vol.I, 1929, p.79 ss.). Presso le civiltà più recenti le caverne abitate, nelle quali prevale la pianta circolare, sono spesso in tutto o in parte artificiali, talvolta comunicanti tra loro o comunque organizzate in villaggi anche di notevole estensione (cfr. R. Battaglia, «Caverna», ibid., vol. IX, 1931, p.562 ss.).

[16] Cfr. S. Kramrisch, op. cit., pp. 116-119. Qui si fa menzione anche del bambù, materiale corrispondente alla manifestazione sottile, che per la sua flessibilità è particolarmente adatto alla costruzione di archi e cupole, prototipi di quelli in muratura.


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