"La sacralità dell'abitazione" Estratti (VII)

 


L’aspetto “negativo” e quello “positivo” dell’abitazione

   Dalle considerazioni appena fatte deriva anche un valore “negativo” dell’abitazione, da essa condiviso col valore “negativo” del corpo quando questo venga considerato caratteristico della condizione dell’essere umano su questa terra, in esilio rispetto alla patria celeste. L’abitazione condivide la caducità del corpo, il che è particolarmente evidente se è fatta della stessa “terra” della quale è fatto il corpo, destinato a disfarsi e a tornare terra e polvere; inoltre il corpo, come qualsiasi componente materiale, trae l’uomo verso il basso e lo incatena a questo mondo, «perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti pensieri».[1] Sotto questo aspetto la casa in muratura, ferma e pesante, assume un valore ancor più negativo della tenda, leggera e mobile, così come la vita sedentaria appare inerte e pesante rispetto al libero spaziare senza confini del nomade. E così come alla morte lo spirito si “libera” del corpo, allo stesso modo in molte culture al capanna o la tenda del defunto vengono distrutte, con lo stesso intento liberatorio col quale in certe tradizioni il corpo viene bruciato o comunque ne viene favorita la distruzione. In questi casi l’abitazione non rappresenta il corpo in generale, quanto il corpo stesso del padrone di casa e/o del costruttore: «l’edificio è… il suo “alter ego”, il suo secondo corpo».[2]

   Nelle tradizioni come quella indù, nella quale è esplicitato il concetto della trasmigrazione dello Spirito,[3] l’abitazione assume il valore simbolico dello stato nel quale lo spirito è apparentemente racchiuso (secondo una classica similitudine buddista, come una porzione di spazio è racchiusa in una tazza, alla rottura della quale si discerne che in realtà tale porzione non è mai stata veramente separata dal resto dello spazio). Così una poesia attribuita al Buddha, più volte citata anche da Eliade, assimila la liberazione dalla “ruota dell’esistenza” alla demolizione della casa.[4] Anche secondo l’Apostolo delle genti «la nostra abitazione terrena è una tenda che si demolisce»,[5] e nel Corano Dio ammonisce i credenti a non amare la propria casa più di Lui,[6] perché il rifugio più sicuro in Dio. Secondo questo punto di vista, insomma, la condizione naturale dell’essere umano è quella del nomade, che, mai permanendo nella stessa terra, di questa terra (per ricorrere ancora a un’espressione buddhista) conosce e accetta l’impermanenza; non quella stanziale che ha ragion d’essere, semmai, come fase transitoria della vita, quella della costruzione della casa e della procreazione dei suoi abitanti, in vista di tornare poi alla condizione di pellegrino in viaggio verso la Dimora celeste.[7]

   Una simile valutazione “negativa” dell’abitazione non esclude quella “positiva” che attribuisce valore rituale e spirituale all’edificazione della stessa; diversamente non avrebbe senso l’affermazione del salmista quando dice che «se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori».[8] L’edificazione spirituale è così descritta da San Pietro: «anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale», il che può avvenire «stringendovi a lui [Cristo], pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio» preannunciata nella Sacra Scrittura come «pietra angolare, scelta, preziosa …pietra che i costruttori hanno scartato … divenuta la pietra angolare».[9] A queste espressioni fa eco l’Apostolo delle genti: «voi … siete edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito».[10] E ancora: «voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio… come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già si trova, che è Gesù Cristo[11]  Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché è santo il tempio di Dio, che siete voi».[12]

   In definitiva l’aspetto “negativo” e “positivo” dell’abitazione corrispondono a diversi cicli della storia umana, a diverse fasi della vita e gradi di perfezione per alcuni, a diverse vocazioni per altri, cui potrebbe corrispondere anche la complementare diversità tra Pietro e Paolo: il primo, così rinominato da Gesù per stabilirlo come pietra sulla quale edificare la sua Chiesa[13] – della quale con Giacomo e Giovanni costituisce altresì “le colonne”[14] – il secondo, instancabile viaggiatore e propagatore della Buona Novella.

 Abitazione, Nomi divini ed epifania divina

    Dall’elenco che ne abbiamo fatto, certamente tralasciandone tantissimi altri, sembra che la profusione quasi illimitata di simboli inerenti all’abitazione – ad ogni comune abitazione regolarmente costruita e non solo al tempio – copra qualunque grado e manifestazione del creato nonché la genesi di quest’ultimo e il percorso inverso dell’anima che aspiri a tornare al suo Signore, previo il ritorno al Centro del proprio essere, alla condizione originale, “edenica”, dello stato umano. La sacralità è così inerente all’abitare che anche la casa moderna, secolarizzata e disorientata, ne reca tracce residue che molti possono riconoscere nella propria. E se questa rassegna avesse contribuito a ciò, e a rendere “edificante” (non solo in senso morale, chiaramente) qualche intervento di ristrutturazione e di arredamento, o anche solo di pulizia e di ordinamento dell’abitazione, l’intento per il quale è stata scritta sarebbe raggiunto.

   Né la simbologia e la sacralità della più umile abitazione si esauriscono al livello cosmologico: dall’uscita dal cosmo l’abitazione reca, come si è visto, immagini e indicazioni. Restano perciò da riprendere alcuni punti già accennati per concludere la presente esposizione a un livello metafisico, riconoscendo nell’abitazione la rappresentazione di attributi divini, cosa che faremo col linguaggio della tradizione cristiana.

   In effetti di alcuni di questi attributi abbiamo già trattato: della Maestà, della Giustizia, dell’Eternità; della Vita abbiamo visto la presenza in tutte le sue possibili manifestazioni; dell’Unicità abbiamo visto sia l’affermazione della mezuzah che la rappresentazione simbolica nello stauros, nel vertice del tetto e in altri analoghi elementi. La luce (che con l’iniziale maiuscola è un altro nome divino) e il calore rappresentati dai raggi della lunetta della porta d’ingresso rimandano alla Sapienza e all’Amore. Ma anche l’attributo della Misericordia è presente, implicito nell’aspetto tipicamente “femminile” e “materno” dell’abitazione, che come l’abito copre e protegge. Allo stesso modo la divina Misericordia “copre” i difetti umani, come dice l’esordio del Salmo XXXI, ripreso da Dante nel Purgatorio: «beati quorum tecta sunt peccata»,[15] beati coloro i cui peccati sono coperti. Ora, tecta è participio passato, al plurale neutro, del verbo tego (=copro), che al singolare fa tectum e come sostantivo designa il tetto; a questi termini è direttamente connesso anche il nome della tegola (tegula in latino).[16] E infatti il tetto svolge eminentemente la funzione di copertura offerta dalla casa e assume la relativa attribuzione divina, oltre al fatto che, come avevamo detto, se è costruito a impluvio raccoglie la pioggia, altro simbolo della Misericordia. Infine avevamo pure parlato della bellezza dell’abitazione e della sua dipendenza dalla Bellezza divina, facendo notare che essa risiede nel suo essere conforme all’Uomo Perfetto.

   A partire dal Vangelo secondo Giovanni si può mettere in risalto quali sviluppi abbia avuto questo tema nel Cristianesimo medievale, quando del Cristo si ravvisavano icone anche in tanti animali, vegetali e minerali:[17] e come poteva essere diversamente, se «tutto epr mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto»?[18] Il Suo corpo, come si è detto, è iscritto sulla pianta dell’edificio, almeno su quella di alcune cattedrali. Egli è poi la porta[19] e «la luce vera, che illumina ogni uomo»[20] che entra dalle finestre o che s’irradia dai ceri e da altre fonti luminose, nonché la vita[21] di quelli che vi abitano.

   San Paolo poi identifica con Cristo la roccia dalla quale scaturì l’acqua che dissetò il popolo d’Israele nel deserto,[22]il che fa d’ogni pozzo, ma anche di ogni fontana dell’abitazione, un simbolo cristico. Ancora, se lo stauros è l’axis mundi ad esso corrisponde la Croce nel simbolismo cristiano, tanto più che stauros è il nome greco della Croce; lo stauros è perciò un altro simbolo del Verbo, al quale la carpenteria del tetto corrisponde con il columen.[23] Si è visto che la Croce è stata descritta come il letto matrimoniale sul quale l’anima si unisce con Cristo, e perciò anche la camera nuziale si presta la stessa metafora e a quella dell’unione mistica di Cristo con la Sua Chiesa.

   Se poi l’elemento colonnare culmina in un capitello, questo è il capo del Corpo Mistico, come Cristo è capo della Chiesa che è il suo corpo.[24] Se risiedere in un’abitazione significa essere nel Centro del mondo, «esiste una concordanza di quelle che colpiscono di più, tra l’idea del saggio che, tenendosi al “Centro del Mondo”, unito al Principio, vi dimora nella pace, sottratto a tutte le vicissitudini del mondo esteriore, e l’idea dell’ “habitat spirituale” nel Cuore del Cristo».[25] E come abbiamo visto, Cristo è la roccia sulla quale l’edificio è fondato nonché la pietra che ne corona la sommità: anche del’edificio, oltre che del creato, è dunque l’Alfa e l’Omega, e tutta l’abitazione regolarmente costruita rappresenta in definitiva una Sua contemplabile epifania. (pp. 81-88-fine)

    Riguardo alla culminazione o coronamento di un edificio Guénon mette in relazione l’occhio della cupola con il Brahma-randhra che è il punto dove termina l’arteria sottile sushumnâ, che può essere raffigurato anche dal punto di uscita dal baldacchino dell’asta del carro.[i] La sushumnâ è il raggio “mediante il quale ogni essere, in qualunque stato si trovi, è allacciato in modo permanente al Sole spirituale”[ii] “che si estende fino alla corona della testa, a partire dalla quale essa è prolungata “extra-individualmente”, si potrebbe dire, dal “raggio solare” stesso, percorso risalendo verso la sorgente;”.[iii]

   Questo raggio solare è il settimo, sintesi dei sei corrispondenti alle direzioni dello spazio nella croce a tre bracci e unione dei sei colori dell’arcobaleno.[iv]

   L’uscita dal Cosmo, la “resurrezione” avviene perciò verso l’alto e dopo che la pietra che ostruisce l’apertura è stata rimossa. Questa rinascita è resa possibile anche a “l’anima del Sapiente, dotata (in virtù della rigenerazione psichica che ha fatto di lui un uomo “due volte nato”, dwija) della Grazia spirituale (Prasâda) di Brahma, che risiede in questo centro vitale (relativamente all’individuo umano considerato), quest’anima, si diceva, sfugge (si libera da tutti i legami che possono ancora rimanere con la condizione corporea) e incontra un raggio solare (vale a dire, simbolicamente, una emanazione del sole spirituale…)[v]  

    Si conclude qui la pubblicazione di estratti dall’articolo “La sacralità dell’abitazione” comparso sul numero 11 della rivista “Perennia Verba” di gennaio 2009. Ringrazio nuovamente per la disponibilità l’autore Franco Galletti e il responsabile della casa editrice “Il Leone Verde” di Torino Fabio Tizian.



L'immagine è tratta da

http://www.ilpuntosulmistero.it/la-contea-del-mistero-a-spasso-per-patrica-fr-alla-ricerca-di-enigmatiche-simbologie-2-parte/

  

 



[1] Sapienza 9, 15.

[2] S. Kramrisch, op. cit., p. 70. Inoltre, «se l’edificio è un edificio sacro, un tempio, questo secondo corpo è il suo corpo sacrificale nato da una seconda nascita» (ibid.).

[3] I cultori degli studi tradizionali sanno bene che il concetto tradizionale di trasmigrazione non va confuso con quello più recente e deviato di reincarnazione. Per le necessarie precisazioni cfr. A.K. Coomaraswamy, «Le Bouddhisme originel», Etudes Traditionnelles, XLIV, 1939, pp. 162-174 ; R. Guénon, Le Théosophisme. Histoire d’une pseudo-religion, Paris 1969, p. 117 ss.

[4] Secondo un’altra espressione buddhista, dell’arhat (cioè di chi raggiunge la perfezione, si libera) si dice che “sfonda il tetto”.

[5] 2° Corinti, 5, 1.

[6] Cfr. IX, 24.

[7] Nell’Induismo è prevista una fase preliminare di vita attiva (come la si chiamerebbe in Occidente); è doveroso infatti prima sposarsi, procreare e provvedere alle necessità della famiglia, il che nel contesto tradizionale avveniva molto presto. Solo dopo aver visto sgambettare il primo nipote (come si suol dire) si passa ad approfondire la pratica contemplativa, infine si passa al ritiro da questo mondo. Questo, ovviamente, per chi non abbia sin dall’infanzia una vocazione “monastica”.

[8] Salmi 127, 1.

[9] Ia pietro 2, 4-7 (cit. in ordine differente). Per la pietra angolare cfr. Isaia, 28,16; Zaccaria 10, 4; Salmi, 118, 22; Matteo, 21, 42; Marco, 12, 10; Atti, 4, 11; Apocalisse, 21, 16; anche Luca, 20, 17; Romani, 9, 33; Da notare che il salmo 118 è il salmo processionale che si cantava nella festa delle Sukkot (alla quale abbiamo già accennato), che ricorda il soggiorno del popolo ebraico nelle capanne nel deserto prima dell’ingresso nella terra promessa.

[10] Efesini 2, 19-22.

[11] Cristo è dunque sia la roccia sulla quale fondare l’edificio che la pietra angolare, da identificarsi come si è detto con la chiave di volta.

[12] Ia Corinzi 3, 10-17.

[13] Cfr. Matteo, 16, 18. Tale fondazione è avvenuta anche materialmente, perché sul sepolcro di Pietro è stata eretta la basilica vaticana. Nella primitiva basilica costantiniana il monumento costruito sopra la tomba dell’apostolo si trovava all’incrocio della navata col transetto; con la ricostruzione rinascimentale la centralità sarebbe stata perfetta, se fosse stato rispettato l’originario progetto a croce greca.

[14] Cfr. Galati, 2, 9. Giacomo è in questo caso Giacomo “il Giusto” o “il Minore” detto anche “fratello del Signore”; fu capo della Chiesa di Gerusalemme (l’altro apostolo di nome Giacomo, detto il  “Maggiore”, era fratello di Giovanni).

[15] XXIX, 3.

[16] Si veda anche in greco il sostantivo stéghe (=tetto, soffitto, tolda, tenda, camera) e il verbo stégo (=ricopro, contengo, custodisco, tollero, respingo).

[17] Cfr. L. Charbonneau-Lassay: Le bestiaire du Christ, cit. e  «Il florario del Cristo», cit.

[18] Giovanni 1, 3; cfr. anche Colossesi, 1, 15-17. In molti casi col simbolismo cristico un simbolismo mariano, che del resto è da esso indissociabile, sul  quale abbiamo già fatto qualche accenno.

[19] Cfr. ibid., 10, 9 (anche 10, 7).

[20] Ibid. 1, 9; cfr. anche 8, 12 e 9, 5.

[21] Cfr. ibid., 11, 25 e 14, 6.  

[22] Cfr. Ia Corinzi, 10, 4.

[23] Per inciso il verbo latino instaurare appartiene alla stessa famiglia linguistica di stauros ed esprime stabilità. Questo nesso, e la considerazione che lo stauros è la Croce e un simbolo del Verbo, mostrano quanto opportunamente la cristianità si sia proposta di instaurare omnia in Christo.

[24] Cfr. Romani, 12, 4-5; I Corinti, 12, 12 ss. Per il simbolismo del capitello v. anche supra.

[25] R. Guénon Ècrits pour Regnabit, ilano 1999, pp. 178-180.



[i] R. Guénon, La Grande Triade, Paris 1946; trad. It. La Grande Triade, Adelphi, Milano 2005, p. 149 in nota.

[ii] Id., Mélanges, Paris 1976; trad. It. Mélanges, Venezia 1978, p. 40.

[iii] Id., Symboles de la science sacrée, Paris 1962; trad. it Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1990, p. 198.

[iv] Cfr. Symboles, cit., cap. 57, I sette raggi e l’arcobaleno.

[v] Id., L’homme et son devenir selon le Vêdânta, Paris 1925; trad. it. L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, Adelphi, Milano 2011, p. 132.

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