Considerazioni sul Vangelo secondo Marco tratte da Guénon (IV)

 


6 ...   Gesù cammina sulle acque. -45Allora subito egli costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva, verso Betsaida, mentre egli licenzierebbe la folla. 46Poi accomiatatosi da loro, se n’andò su pel mondo a pregare. 47Fattosi sera, la barca era in mezzo al mare e lui solo a terra. 48Or, avendoli veduti affaticati nel remare, poiché il vento era loro contrario, alla quarta vigilia della notte, circa, andò verso di essi, camminando sul mare, e voleva passar loro accanto; 49ma quelli, avendolo veduto camminar sul mare, cedettero che fosse un fantasma e gridarono; 50perché tutti l’avevano visto e n’erano rimasti spaventati. Ma egli subito rivolse loro la parola, dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” 51Poi salì con loro nella barca e il vento cessò. Ed erano tutti stupiti dentro di sé, 52perché non avevano capito il fatto dei pani, ché il loro cuore era insensibile. 53Compiuta la traversata, giunsero nella contrada di Gennesaret, e presero terra. 54Sbarcati che furono, subito la gente che l’aveva riconosciuto 55percorse tutta quella regione e incominciò a portare gli infermi su dei lettucci, dovunque sentivano che egli fosse. 56E dappertutto dove giungeva, in villaggi, città e borgate, la gente metteva i malati sulle piazze e lo pregava di lasciarsi toccare anche solo il lembo della sua veste. E tutti quelli che lo toccavano, erano guariti.

    Per poter camminare sulle acque occorre essersi alleggeriti a tal punto da non essere toccati dalle increspature della sfera formale, continuamente cangiante. Se si è stabiliti nella Pace non si subisce più nessun contrasto. Tale simbolismo è presente anche nell’Induismo.

    “Lo Yogî, avendo attraversato il mare delle passioni, è unito alla Tranquillità e possiede il Sé nella sua pienezza” dice Shankarâchârya (Atmâ-Bodha). Le passioni designano qui tutte le modificazioni contingenti e transitorie che costituiscono la “corrente delle forme”: si tratta del dominio delle “acque inferiori”, secondo il simbolismo comune a tutte le tradizioni. È per questo che la conquista della “Grande Pace” è rappresentata spesso come una navigazione (questa è una delle ragioni per cui la barca, nel simbolismo cattolico, rappresenta la Chiesa); a volte sotto forma di una guerra, e la Bhagavad Gîtâ può essere interpretata in questo senso; sotto questo punto di vista si potrebbe sviluppare la teoria della “guerra santa” (jihâd) nella dottrina islamica.- Aggiungiamo che il “camminare sulle acque” simboleggia il dominio sul mondo delle forme e del mutamento: Vishnu è detto Nârâyana, “Colui che cammina sulle acque”, e, nel Vangelo, si vede il Cristo camminare sulle acque.” (R.M. c.10 p.100 n.14)

   “ ...le Acque, in linea generale e nel senso più esteso del termine, rappresentano la Possibilità intesa come “perfezione passiva” (n.2: “Cfr. L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, cap.V.”), ossia il principio plastico universale che, nell’Essere, si determina come “sostanza” (aspetto potenziale dell’Essere); in quest’ultimo caso si tratta evidentemente della totalità delle possibilità di manifestazione, trovandosi le possibilità di non-manifestazione al di là dell’Essere (n.3: “V. Il Simbolismo della Croce, cap.XXIII.”). La “superficie delle Acque”, e cioè il loro piano di separazione, che altrove abbiamo descritto come piano di riflessione del “Raggio Celeste” (n.4: “Il Simbolismo della Croce, cap.XXIV. È anche, nel simbolismo indù, il piano secondo cui il Brahmânda, o “Uovo del Mondo”, al centro del quale risiede Hiranyagarbha, si divide in due metà; quest’“Uovo del Mondo” è d’altronde sovente rappresentato come galleggiante sulla superficie delle Acque Primordiali (v. L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, capp. V e XIII).”), segna dunque lo stato nel quale si opera il passaggio dall’individuale all’universale, ed il ben noto simbolo del “camminare sulle Acque” raffigura appunto la liberazione dalla forma, o dalla condizione individuale. n.5: “Nârâyana, che è uno dei nomi di Vishnu nella tradizione indù, significa letteralmente: “Colui che cammina sulle Acque”; il rapporto analogico con la tradizione evangelica è evidente. Naturalmente, qui come in altri casi, il significato simbolico non sminuisce affatto il carattere storico che nel secondo caso ha il fatto considerato, fatto che, del resto, è tanto meno contestabile in quanto la sua realizzazione, corrispondente all’acquisizione di un determinato grado di iniziazione effettiva, è assai più frequente di quanto non si creda.”” (S.M.E. c.12 p.99)

   “Per esprimere questa unione, [di jîvâtmâ e Âtmâ incondizionato] e per esprimerla precisamente in rapporto diretto con l’Âtmâ-Gîtâ, esiste inoltre un termine che è particolarmente interessante: si tratta del termine Naranârâyana. È noto che Nârâyana, «Colui che cammina (o che è portato) sulle acque», è uno dei nomi di Vishnu, attribuito per trasposizione a Paramâtmâ, ovvero al Principio supremo, come dicevamo in precedenza; le acque rappresentano in questo caso le possibilità formali o individuali. n.1: “Nella tradizione cristiana, il fatto che Cristo cammini sulle acque ha un significato che si riconduce allo stesso simbolismo.”” (S.I. c.1 p.12)

    In ambito alchemico la Luna fa le veci delle acque, consentendo un parallelismo con le innumerevoli rappresentazioni della Vergine che sovrasta la Luna stessa o il serpente tentatore. Peraltro la caduta di Adamo ed Eva riveste il carattere di necessità affinché il mondo formale si manifesti.

    “D’altro canto, l’essere reintegrato nel centro dello stato umano è con ciò stesso pronto a elevarsi agli stati superiori, e domina già le condizioni dell’esistenza di questo mondo, del quale è diventato signore; per questo il Rebis del Rosarium Philosophorum ha la luna sotto i piedi, e quello di Basilio Valentino il drago; tale significato è stato totalmente ignorato dal Valli, il quale non ha visto in ciò se non dei simboli della dottrina corrotta o dell’«errore che opprime il mondo», mentre la luna, in realtà, rappresenta la sfera delle forme (il simbolismo è lo stesso di quello della «marcia sulle acque»), e il drago è qui la raffigurazione del mondo elementare.” (E.C. c.6 p.68)

 

9 La trasfigurazione.- 1E diceva loro: “In verità vi dico: ci sono alcuni dei presenti che non gusteranno la morte, prima di aver visto il Regno di Dio venuto con potenza”.

2Sei giorni dopo, Gesù prese a parte Pietro, Giacomo e Giovanni, e li condusse soli sopra un alto monte, ove si trasfigurò davanti a loro. 3Le sue vesti divennero risplendenti e così candide quali nessun tintore della terra potrebbe farle. 4Poi apparve loro Elia insieme a Mosè e parlavano con Gesù. 5Allora Pietro, presa la parola, disse a Gesù: “Maestro, com’è bene per noi star qui! Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia”. 6Non sapeva, infatti, che cosa si dicesse, perché erano sbigottiti. 7Poi si formò una nube che li ricoprì d’ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il mio figlio diletto. Ascoltatelo!”. 8E tosto, guardando all’intorno, non videro più nessuno, fuorché Gesù solo con loro. 9Ma mentre scendevano dal monte, proibì ad essi di raccontare ad alcuno quello che avevano veduto, fino a quando il Figlio dell’uomo sarebbe risuscitato dai morti10Or, essi osservarono l’ordine, domandandosi tuttavia fra di loro che cosa volesse dire questo “sarebbe risuscitato dai morti”. 11Allora l’interrogarono dicendo: “Perché gli Scribi dicono che deve venire prima Elia?”. 12Egli rispose loro: “Elia, sì, venendo prima, ristabilisce tutto: e come mai allora è scritto del Figlio dell’uomo che egli deve molto soffrire, ed essere disprezzato? 13Ma io ve lo dico: in realtà Elia è già venuto e gli hanno fatto tutto quello che vollero, com’è stato scritto di lui”.

    I tre testimoni della trasfigurazione potrebbero, a mio parere, essere accostati così alle tre virtù evocate nei riti muratori: Giovanni, l’Aquila della conoscenza intuitiva, alla Saggezza; Pietro, il fondamento della Chiesa, alla Forza; e Giacomo, patrono delle iniziazioni artigianali e del Compagnonaggio (v. S.M.C.1 p.55), alla Bellezza.

    “Nei capitoli di Rosa-Croce (18° grado scozzese), i nomi delle tre virtù teologali sono associati rispettivamente ai tre termini della divisa “Libertà, Eguaglianza, Fratellanza”; si potrebbe anche avvicinarli a ciò che si chiama “i tre principali pilastri del Tempio” nei gradi simbolici: “Saggezza, Forza, Bellezza”. - A queste stesse tre virtù, Dante fa corrispondere san Pietro, san Giacomo e san Giovanni, i tre apostoli che assistettero alla Trasfigurazione.” (E.D. c.3 p.30 n.25)

   Indicati come i due testimoni dell’Apocalisse (Ap. 11,3 e cfr. F.T.C.C. c.11 p.113 n.13),  Enoc ed Elia non subirono la morte corporale:

    “Enoc camminò con Dio, poi scomparve perché Dio l'aveva preso.” (Gn. 5, 24)  

    “Mentre continuavano a camminare conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo.” (2Re 2, 11)

   Di Mosè invece è ignoto il luogo di sepoltura:

   “Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba.” (Deut. 34, 5-6) 

    “ [Riferendosi a chi, o già in vita o all’atto del trapasso, ha ottenuto la “Liberazione”] … Le sue facoltà vitali e gli elementi di cui era costituito il suo corpo (tutti considerati in principio e nella loro essenza soprasensibile), ed altresì le sedici parti (shodasha-kalâk) che compongono la forma umana (vale a dire i cinque tanmâtra, il manas e le dieci facoltà di sensazione e d’azione), passano completamente allo stato non-manifestato (avyakta, dove, per trasposizione, si ritrovano tutti in modo permanente in quanto possibilità immutabili); n.2: “In certi casi eccezionali, la trasposizione di questi elementi s’effettua in modo tale che la forma corporea stessa svanisce, senza lasciar tracce sensibili, ed invece d’essere abbandonata dall’essere, come d’ordinario, essa si traspone così interamente sia nello stato sottile che in quello non-manifestato. Perciò non può trattarsi della morte nel senso ordinario della parola; abbiamo altrove ricordato, a questo proposito, gli esempi biblici di Enoch, di Mosè e Elia.”” (U.D.V. c.19 p.172)

    L’articolata messa a punto riportata sotto è tratta da una delle prime fatiche di Guénon, “L’erreur spirite” del 1923, in italiano “L’errore dello spiritismo”. Il tema particolare, ma di grande attualità quando fu scritto, non faccia pensare a un minor spessore dottrinale. Le prese di posizione contro la reincarnazione e la possibilità di comunicare con i trapassati costituiscono dei compendi utilissimi e perfettamente sostenuti. Guénon vide con chiarezza i formidabili rischi che comportava l’aprire incautamente le porte a influenze sottili della peggior specie.

     “Prima di lasciare quest’argomento diremo ancora qualche parola sui testi evangelici che gli spiritisti e gli occultisti invocano a favore della reincarnazione; Allan Kardec ne indica due il primo dei quali è il seguente, e viene dopo il racconto della trasfigurazione: “E nel discendere dal monte, Gesù diede loro questo comando: A nessuno parlerete della visione fino a che il Figliuolo dell’uomo non sia risorto da morte. E i suoi discepoli gli domandarono: Perché dunque gli Scribi dicono che prima deve venire Elia? Rispose egli: Sì, verrà Elia e rimetterà a posto ogni cosa; io però vi dico che Elia è già venuto e non lo hanno riconosciuto, ma gli hanno fatto quanto hanno voluto: allo stesso modo anche il Figliuol dell’uomo soffrirà per opera loro. Allora i discepoli capirono che aveva parlato loro di Giovanni Battista”. (Mt. 17, 9-15). (n.29: “cf. Mc. 9, 8-12; questo testo differisce dall’altro solo perché non vi si fa il nome di Giovanni Battista.”). Allan Kardec aggiunge: “Poiché Giovanni Battista era Elia, c’è dunque stata reincarnazione dello spirito o dell’anima di Elia nel corpo di Giovanni Battista”. Papus, dal canto suo, dice egualmente: “Innanzi tutto i Vangeli affermano senza reticenze che Giovanni Battista è Elia reincarnato. Si trattava di un mistero. Giovanni Battista, interrogato, tace, ma gli altri sanno. C’è inoltre la parabola del cieco nato, punito per i suoi peccati anteriori, che fa molto riflettere”. Prima di tutto, nel testo non si dice affatto in che modo “Elia è già venuto”; e, se si pensa che Elia non era morto nel senso usuale del termine, può sembrare perlomeno difficile che ciò sia avvenuto mediante reincarnazione; in secondo luogo, perché mai Elia, durante la trasfigurazione, non si era manifestato sotto l’aspetto di Giovanni Battista? Inoltre, Giovanni Battista, interrogato, non tace affatto, come sostiene Papus, bensì nega formalmente: “E gli domandarono: E che dunque? Sei tu Elia? Ed egli: Non sono” (Gv. 1,21). Se si dicesse che ciò prova soltanto che gli non si ricordava della sua precedente esistenza, risponderemmo che esiste un altro testo molto più esplicito, quello in cui l’angelo Gabriele, annunciando a Zaccaria la nascita del figlio, dichiara: “È lui che lo precederà con lo spirito e con il potere di Elia, per ricondurre il cuore dei padri verso i figliuoli e i ribelli al senno dei giusti, al fine di preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc. 1,17). Non si potrebbe indicare in modo più chiaro come Giovanni Battista non sia affatto Elia in persona, ma appartenga soltanto, se così ci si può esprimere, alla sua “famiglia spirituale; è dunque in questo modo, e non alla lettera, che occorre intendere la “venuta di Elia”.” (E.S. c.13 p.217)

 

   Per le abbreviazioni dei testi di Guénon si veda il primo post relativo al Vangelo secondo Marco.

 


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