Considerazioni sul Vangelo secondo Marco tratte da Guénon (V)

 


VIAGGIO A GERUSALEMME

(10,1 – 13,37)

  10

  Gesù e i bambini.- 13E gli conducevano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli sgridavano quelli che glieli presentavano. 14Gesù, veduto questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate venire a me i bambini e non impedite loro! perché il regno di Dio è di quelli che son simili a loro. 15In verità vi dico: chi non riceverà il regno di Dio, come un fanciullo, non c’entrerà”. 16Poi li abbracciò e li benedisse imponendo loro le mani.

    Semplicità equivale a purezza, condizione tipica dell’infanzia.

    “A colui che risiede nel non manifestato, tutti gli esseri si manifestano… Unito al Principio, egli è in armonia, per mezzo suo, con tutti gli esseri. Unito al Principio, egli conosce tutto attraverso le ragioni generali superiori, e quindi non fa più uso dei suoi sensi per conoscere in particolare e minutamente. La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile. Solo, lo spirito ritornato allo stato di semplicità perfetta può coglierla nella contemplazione profonda”. n.18: “Lie-Tse, c.IV. Si vede qui tutta la differenza che distingue la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario o “profano”; le allusioni alla “semplicità”, espressione dell’unificazione di tutte le potenze dell’essere e ritenuta caratteristica dello “stato primordiale”, sono frequenti nel taoismo. Parimenti, nella dottrina indù, lo stato di “infanzia” (bâlia), considerato in senso spirituale, è giudicato condizione preliminare per l’acquisizione della conoscenza per eccellenza: cf. L’homme et son devenir… cit., ed.4, c.XXIII. Si possono ricordare a questo proposito le parole analoghe che si trovano nel Vangelo: “Chiunque non riceverà il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Lc. 18, 17). “Mentre hai nascosto queste cose ai saggi e ai prudenti, le hai rivelate ai semplici e ai piccoli”. (Mt.11,25; Lc. 10,21)…” (S.C. c.7 p.71)

    “Shankarâchârya enumera tre attributi che in qualche modo corrispondono ad altrettante funzioni del Sannyâsî possessore della Conoscenza, che è appunto lo Yogî stesso, se questa Conoscenza è pienamente effettiva (n.1: “Lo stato di Sannyâsi è propriamente l’ultimo dei quattro ashrâma (i primi tre sono quelli di Brahmachârî o “studente della Scienza sacra”, discepolo d’un Guru, di Grihastha o “padrone di casa”, e di Vanaprastha o “anacoreta”); ma il nome di Sannyâsi è anche spesso attribuito, come qui è il caso, al Sâdhu, vale a dire a colui che ha compiuto la perfetta realizzazione (Sâdhana), e che è ativarnâshramî ...): questi tre attributi sono, in ordine ascendente, bâlia, pânditya e mauna (n.2: “Commento sui Brahma-Sûtra, 3° Adhayâya, 4° Pâda, sûtra 47 a 50.”). La prima di queste parole specifica letteralmente uno stato paragonabile a quello d’un ragazzo (bâla); (n.3: “Cfr. queste parole del Vangelo: “Il Regno dei Cieli è per coloro che sono simili a questi ragazzi…Chiunque non avrà ricevuto il Regno di Dio come un piccolo fanciullo non entrerà punto in esso” (S.Matteo, XIX, 14; S.Luca, XVIII, 16 e 17).”) è uno stadio di “non-espansione”, se così possiamo dire, dove tutte le potenze dell’essere sono concentrate in un sol punto, e realizzano con la loro unificazione una semplicità indifferenziata, apparentemente simile alla potenzialità embrionale. È anche, in un senso alquanto differente, ma che completa il precedente (poiché vi è contemporaneamente riassorbimento e pienezza), il ritorno allo “stato primordiale” di cui parlano tutte le tradizioni, e sul quale insistono più specialmente il Taoismo e l’esoterismo islamico; questo ritorno è effettivamente una tappa necessaria verso l’Unione, poiché soltanto da questo “stato primordiale” si possono superare i limiti dell’individualità umana, per poi elevarsi agli stati superiori. n.1: “Ciò corrisponde allo “stato edenico” della tradizione giudaico-cristiana; perciò Dante colloca il Paradiso terrestre alla sommità della montagna del Purgatorio, vale a dire precisamente nel punto da cui l’essere lascia la Terra, o lo stato umano, per elevarsi ai Cieli (designati come il “Regno di Dio” nella precedente citazione del Vangelo).”” (U.D.V. c.23 p.217)

  Lo “stato primordiale” tradizionalmente inteso è una condizione di pienezza e di centralità in riferimento allo stato umano, ben lungi dalle immagini di antropoidi in balia degli elementi così sapientemente divulgate.

   “La «semplicità», espressione dell’unificazione di tutte le potenze dell’essere, caratterizza il ritorno allo «stato primordiale»; e si misura qui tutta la distanza che separa la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario e «profano». Questa «semplicità» è anche designata altrove come lo stato di «infanzia» (in sanscrito bâlya), inteso naturalmente in senso spirituale, che, nella dottrina indù, è considerato come condizione preliminare all’acquisizione del sapere per eccellenza. Ciò ricorda le analoghe parole contenute nel Vangelo: «Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà» (n.2: “Luca, 18,17.”) «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli avveduti, e le hai rivelate ai semplici e ai piccini». n.3: “Matteo, 11, 25; Luca, 10, 21.” (S.E.I.T. c.4 p.47)

    “…la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita.” 2Cor. 3, 6. L’imitazione pedissequa non può che sfociare nel grottesco, segno piuttosto sinistro.

    “È così che i quietisti propriamente detti, quelli della fine del XVII secolo, avevano formato tra loro un’associazione detta “Santa Infanzia”, in cui si applicavano ad imitare tutti i modi d’agire e di parlare dei bambini. Nelle loro intenzioni si trattava di mettere in pratica, per quanto possibile alla lettera, il precetto evangelico di “diventare come bambini”; ma questa è veramente la “lettera che uccide”, e ci si può stupire che un uomo come Fénelon non abbia provato ripugnanza per una simile parodia, dato che è quasi impossibile qualificare diversamente l’imitazione esteriore dei bambini da parte degli adulti, imitazione che inevitabilmente ha un carattere artificiale e forzato, e per conseguenza qualcosa di caricaturale.” (I.R.S. c.27 p.222)

 

   Il giovane ricco.- 17E nell’uscire per mettersi in viaggio, un tale accorse, si gettò in ginocchio davanti a lui e gli domandò: “O Buon Maestro, che devo fare io per ottenere la vita eterna?” 18Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: non ammazzare; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare; onora il padre e la madre”. 20Egli rispose: “Maestro, tutto questo io l’ho osservato fin dalla mia giovinezza”. 21Allora Gesù, fissando il suo sguardo sopra di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quanto possiedi e dallo ai poveri, così tu avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi, prendendo la croce.” 22Ma egli si turbò a queste parole e se ne andò via triste, perché aveva molti beni. 23Allora Gesù, dato uno sguardo intorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto sarà difficile per quelli che hanno ricchezze entrare nel regno di Dio!” 24E i discepoli restarono stupefatti sentendo tali cose. Ma Gesù, presa di nuovo la parola, disse loro: “Figliuoli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio per coloro che confidano nelle ricchezze! 25È più facile a un cammello passare per la cruna di un ago, che ad un ricco entrare nel regno di Dio”. 26Ed essi rimasero ancor più stupiti, dicendo fra di loro: “Ma allora chi può esser salvo?” 27Gesù, fissando su loro i suoi sguardi, conchiuse: “Questo è impossibile agli uomini, ma non a Dio; perché tutto è possibile a Dio”.

    La ricchezza non va intesa solo in senso materiale, ma soprattutto in senso psichico, prodotta dall’incessante vagare della mente. Un invito a distaccarsi da questo flusso ininterrotto è rivolta a Dante da Virgilio, …

                                   ché sempre l’omo in cui pensier rampolla

                                 sovra pensier, da sé dilunga il segno,

     perché la foga l’un dell’altro insolla”.     Purg. V, 15-18

   Il verbo rampollare rende l’idea dello scaturire continuo, come in una fonte gorgogliante.

    “Quel che nell’ascesi viene gradualmente (n.2: “Diciamo gradualmente appunto perché si tratta di un processo metodico; è d’altronde comprensibile che, salvo forse qualche caso eccezionale, il distacco completo non può effettuarsi in un colpo solo.”) sacrificato in questo modo, è l’insieme delle contingenze di cui l’essere deve giungere a sbarazzarsi, trattandosi di altrettanti ostacoli che gli impediscono di innalzarsi ad uno stato superiore; (n.3: “Si può dire che, per questo essere, tali contingenze vengono allora distrutte in quanto cose manifestate, perché esse in realtà non esistono più per lui, benché sussistano senza cambiamenti per gli altri; d’altronde quest’apparente distruzione è in realtà una “trasformazione” in quanto va da sé che, dal punto di vista principiale, niente di quel che esiste potrà mai essere distrutto.”) ma egli se può e deve sacrificare queste contingenze, è perché esse dipendono da lui, e di lui in qualche modo fanno parte ad un titolo qualsiasi. n.4: “A questo proposito si potrà ancora ricordare il simbolismo della “porta stretta” che non può essere attraversata da colui il quale, come i “ricchi” di cui parla il Vangelo, non ha saputo spogliarsi delle contingenze, o da chi, “avendo voluto salvare la sua anima (cioè l’ “io”), la perde”, non potendo in queste condizioni unirsi effettivamente al principio permanente ed immutabile del suo essere.”” (I.R.S. c.19 p.168)

     “...Il punto centrale, attraverso cui si stabilisce la comunicazione con gli stati superiori o “celesti”, è la porta stretta del simbolismo evangelico: i “ricchi” che non possono passarvi sono gli esseri aggrappati alla molteplicità, e di conseguenza incapaci di elevarsi dalla conoscenza distintiva alla conoscenza unificata. La “povertà spirituale”, che è espressione del distacco dalla manifestazione, appare qui come un altro simbolo analogo a quello dell’“infanzia”: “Beati i poveri in spirito, poiché di essi è il regno dei Cieli” (Mt. 5,2). Questa “povertà” (in arabo El-faqru) svolge un’importante funzione anche nell’esoterismo islamico; …essa implica anche la completa dipendenza dell’essere, nella sua interezza, dal Principio, “al di fuori del quale non vi è nulla, assolutamente nulla che esista” (Muhyiddin ibn Arabi, Risâlatul-Ahadiyah).” (S.C. c.7 p.72 n.18)

    Il simbolismo architettonico dell’‘occhio della cupola’ è perfettamente pertinente così come quello della ‘porta solare’. Quest’ultima è stata sostituita, in certa letteratura fantascientifica, dai “portali spazio-temporali” che conducono alla dispersione anziché alla reintegrazione col Principio.  

    “…, una delle rappresentazioni del simbolo della ‘porta stretta’ è la “cruna dell’ago”, menzionata in particolare con questo significato in un testo evangelico molto noto. (n.1: “Matteo, XIX, 24”) L’espressione inglese needle’s eye, letteralmente “occhio dell’ago”, è particolarmente significativo al riguardo, poiché lega più direttamente questo simbolo ad alcuni suoi equivalenti, quale l’‘occhio’ della cupola nel simbolismo architettonico: si tratta di raffigurazioni diverse della ‘porta solare’, designata anche come ‘Occhio del Mondo’. Si osserverà anche che l’ago, quando è posto verticalmente, può essere inteso come una figura dell’‘Asse del Mondo’; e allora, siccome l’estremità perforata è in alto, c’è un’esatta coincidenza fra la posizione dell’‘occhio’ dell’ago e quella dell’‘occhio’ della cupola.” (S.S.S. c.55 p.294)

   “È quindi il sole, o piuttosto ciò che esso rappresenta nell’ordine principiale (poiché è ovvio che in realtà si tratta del ‘Sole Spirituale’), (n.9: “Coomaraswamy usa spesso l’espressione Supernal Sun che non ci sembra possibile rendere in modo esatto e letterale”) ad essere veramente, in quanto ‘Occhio del Mondo’, la “porta del Cielo” o Janua Coeli, descritta anche in termini diversi come una ‘cruna’, (n.10: “Si veda “Le trou de l’aiguille” [qui sopra, come cap.55].”) come una ‘bocca’, e ancora come il mozzo di una ruota di un carro;” (S.S.S. c.58 p.307)

   “In ogni modo, soltanto attraverso quest’apertura centrale [della cupola] l’essere può passare al Brahma-Loka, che è un ambito essenzialmente ‘extra-cosmico’; (n.9: “Si potrà, a questo proposito, riferirsi alle descrizioni del dêva-yâna, di cui il Brahma-Loka è l’esito ‘al di là del sole’ (si veda L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. XXI).”) ed essa appunto è anche la “porta stretta”, che dà ugualmente accesso, nel simbolismo evangelico, al “Regno di Dio”. n.10: “Nel simbolismo del tiro con l’arco, il centro del bersaglio ha lo stesso significato; senza insistere qui su tale argomento, ricorderemo soltanto che la freccia è un altro simbolo ‘assiale’, e anche una delle figure più frequenti del ‘raggio solare’. In certi casi, un filo è attaccato alla freccia, e deve attraversare il bersaglio; questo ricorda in maniera davvero sorprendente la figura evangelica della “cruna dell’ago”, e il simbolo del filo (sûtra) si ritrova del resto anche nel termine sûtrâtma.” (S.S.S. c.41 p.232)

    Data l’intrinseca povertà dell’uomo nei confronti del Principio, i dubbi sulla propria salvezza appaiono più che giustificati. Ma “Tutto è possibile a Dio”.

    “In altre parole, potremmo dire che la Possibilità universale contiene necessariamente la totalità delle possibilità, e l’Essere ed il Non-Essere ne sono i due aspetti: l’Essere in quanto manifesta le possibilità (o più esattamente, alcune fra di esse); il Non-Essere in quanto non le manifesta. L’Essere contiene dunque tutto il manifestato; il Non-Essere contiene tutto il non-manifestato, l’Essere compreso; ma la Possibilità universale comprende sia l’Essere che il Non-Essere. Aggiungiamo che il non-manifestato comprende anche tutto ciò che potremmo definire come “non manifestabile”, e cioè le possibilità di manifestazione che non si manifestano, dal momento che la manifestazione comprende evidentemente solo le possibilità di manifestazione, quando queste si manifestano. n.1: “V. L’Uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, cap. XV.”” (S.M.E. c.3 p.36)

 

L’immagine viene da    https://www.lucarubin.it/lasciate-che-i-bambini-vengano-a-me/

 

 


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