Considerazioni sul Vangelo secondo Marco tratte da Guénon (III)

 

                         Peridexion Tree                        

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Marco 4 ...

  La semina e la mietitura.- 26E diceva: “Il regno di Dio è come un uomo che abbia gettato il seme sopra la terra; 27che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme spunta e cresce, senza ch’egli sappia come. 28Poiché la terra produce da sé, prima l’erba, poi la spiga, poi il grano pieno nella spiga. 29E quando il frutto è pronto, tosto egli vi mette la falce perché la messe è matura”.

 

Nel ventre tuo si raccese l’amore, 
per lo cui caldo ne l’etterna pace 
così è germinato questo fiore.
             Par. XXXIII, 7-9

    La “germinazione” di Cristo nel grembo di Maria è ricordata da San Bernardo nel canto finale del Paradiso dantesco. Guénon accosta questo simbolismo al cuore e alla caverna.

     “Detto questo, resta ormai solo da mostrare come ciò che è contenuto nell’‘Uovo del Mondo’ sia realmente identico a ciò che, come abbiamo detto precedentemente, è anche contenuto simbolicamente nel cuore, e nella caverna in quanto ne è l’equivalente. Si tratta qui di quel ‘germe’ spirituale che, nell’ordine macrocosmico, è designato dalla tradizione indù come Hiranyagarbha, cioè letteralmente l’‘embrione d’oro’; (n.5: “Si veda L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. XIII.”) ora, questo ‘germe’ è veramente l’Avatâra primordiale, (n.6: “A ciò si ricollega pure la designazione di Cristo come ‘germoglio’ in vari testi delle Scritture, di cui forse riparleremo in altra occasione.”) e abbiamo visto che il luogo della nascita dell’Avatâra, come pure di ciò che vi corrisponde dal punto di vista macrocosmico, è rappresentato precisamente dal cuore e dalla caverna.” (S.S.S. c.32 p.194)

    “Il Principio divino che risiede al centro dell’Essere è rappresentato dalla dottrina indù come un seme o una semente (dhâtu), come un germoglio (bhija), n.35: “Si osserverà a questo proposito l’affinità delle parole latine gramen, grano, e germen, germoglio. In sanscrito, la parola dhâtu serve anche a designare la radice verbale, quasi fosse la “semente” il cui. sviluppo dà origine all’intero linguaggio (cfr. L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. XI).”” (S.S.S. c.73 p.381)

    È difficile sondare gli effetti del lavoro svolto in campo spirituale. Entrano in gioco forze di cui non abbiamo nemmeno sentore. Mai disperare e mai sottovalutare.

    "In altre parole, noi non intendiamo essere in nessun modo esclusivi, e non riteniamo inutile nessun lavoro, per poco che sia diretto nella direzione giusta; tutti gli sforzi, anche quelli che si esercitassero nei campi più secondari, potrebbero condurre a qualcosa di non completamente trascurabile, le cui conseguenze, senza essere di immediata applicazione, potrebbero tornare utili in seguito e, coordinandosi con tutto il resto, concorrere nella loro misura, seppur non molto rilevante, alla costituzione di quell’insieme che abbiamo in vista per un avvenire senza dubbio piuttosto lontano." (O.O. c.6 (parte II c.2) p.143)

    Puri come colombe ma astuti come serpenti…

    “È ovvio che se qualcuno preferisse riunirsi e costituire delle specie di «gruppi di studio», invece di lavorare isolatamente, non vedremmo in ciò un pericolo, né un inconveniente, a condizione che queste persone fossero ben convinte che non è necessario ricorrere a quel formalismo esteriore a cui la maggior parte dei nostri contemporanei attribuiscono tanta importanza, proprio perché per loro le cose esteriori sono tutto. Sennonché, anche se si trattasse soltanto di formare dei «gruppi di studio», quando si volesse fare un lavoro veramente serio e portarlo sufficientemente lontano, molte precauzioni sarebbero tuttavia necessarie, giacché qualunque cosa venga compiuta in questo campo mette in gioco forze di cui la gente comune non sospetta nemmeno l’esistenza, e mancando di prudenza ci si espone a strane reazioni, per lo meno fintanto che non sia stato raggiunto un certo livello.” (O.O. p.151)

   “È perciò un errore grave quello di servirsi ‑ come abbiamo visto fare spesso a certo scrittore massonico, evidentemente molto soddisfatto di tale «trovata» piuttosto dubbia ‑ dell’espressione «giocare al rituale» parlando dell’effettuazione dei riti iniziatici da parte di individui che ne ignorano il significato e non cercano neppure di penetrarlo; un’espressione simile non si adatterebbe se non al caso di profani che simulassero i riti, non possedendo la qualità per effettuarli in modo valido; di fatto, in un’organizzazione iniziatica, per quanto degenerata essa possa essere per quanto riguardi la qualità dei suoi membri attuali, il rituale non è qualcosa a cui si possa giocare: esso è e rimane sempre una cosa seria e realmente efficace, anche all’insaputa di coloro che vi prendono parte.” (C.I. c.15 p.130 n.1)

 

       Il granello di senapa. – 30E diceva: “A che cosa paragoneremo noi il regno di Dio       o in quale parabola lo rappresenteremo? 31Egli è come un granello di senapa,       che, quando si semina in terra, è il più piccolo di tutti i semi in terra, 32ma, seminato che è, cresce e diventa il maggiore di tutti i legumi e fa rami sì grandi che gli uccelli del cielo possono mettersi al riparo della sua ombra”.

 

    “L’albero a cui ci riferiamo presenta foglie trilobate, ciascuna unita a due rami, e sul contorno, fiori a forma di calice; degli uccelli volano o si posano su di esso. A proposito del rapporto fra il simbolismo degli uccelli e quello dell’albero, nelle diverse tradizioni, si cf. L’Homme et son devenir… cit., c.III, dove, a questo proposito, abbiamo ricordato alcuni testi delle Upanishad e la parabola evangelica del granello di senape; si possono aggiungere i due corvi messaggeri di Odino della tradizione scandinava, che si riposano sul frassino Ygdrasil, a sua volta raffigurazione dell’“albero del mondo”: Nel simbolismo medioevale, troviamo ancora degli uccelli sull’albero Peridexion, ai piedi del quale è un drago; il nome di questo albero è una corruzione della parola Paradision e può sembrare abbastanza strano che sia stata così deformata, quasi che a un certo momento il suo significato abbia cessato d’essere compreso.” (S.C. c.9 p.94 n.21)

 “È impossibile non restare colpiti dalla somiglianza dei termini di questo passo [cf. nota prec.] con quelli della parabola evangelica... (n.15: “Matteo, XIII, 31-32; cf. Marco, IV, 30-32; Luca, XIII, 18-19.”) A questo accostamento, che sembra imporsi, si potrebbe fare solo un’obiezione: è veramente possibile assimilare all’“Atmâ che risiede nel cuore” quello che il Vangelo designa come “Regno dei Cieli” o “Regno di Dio”? Lo stesso Vangelo fornisce la risposta a questa domanda, risposta nettamente affermativa; infatti, ai Farisei che chiedevano quando sarebbe venuto il “Regno di Dio”, intendendolo in un senso esteriore e temporale, Cristo dice queste parole: "Il Regno di Dio non viene in modo da colpire lo sguardo; non si dirà: È qui, o: È là; poiché il Regno di Dio è dentro di voi, Regnum dei intra vos est”.” (S.S.S. c.73 p.379)

 “ …, ogni tradizione contiene, fin dall’origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalità degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i campi; per cui gli interventi puramente umani non possono che limitarla e sminuirla, se non snaturarla del tutto, ed è appunto in questo che consiste realmente l’opera dei “riformatori”.” (R.Q.S.T. c.11 p.80 n.1)  Cfr. I.R.S. c.30 p.251

    ““Quest’Âtmâ, che sta nel cuore, è più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d’orzo, più piccolo di un chicco di mostarda, più piccolo di un chicco di miglio; quest’Âtmâ, che sta nel cuore, è anche più grande della terra (il dominio della manifestazione grossolana), più grande dell’atmosfera (il dominio della manifestazione sottile), più grande del cielo (il dominio della manifestazione informale), più grande di tutti questi mondi insieme (vale a dire oltre tutta la manifestazione, essendo l’incondizionato). n.1: “Chândogya Upanishad, 3° Prapâthaka, 14°Khanda, shruti 3.- È d’uopo ricordare a questo proposito la parabola del Vangelo: “Il Regno dei Cieli è simile ad un granello di senapa che un uomo prende e semina nel suo campo; esso è il più piccolo di tutti i semi; ma quando è cresciuto, è maggiore di tutti gli altri legumi e diviene albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a riposarsi sui suoi rami” (S.Matteo, XIII, 31 e 32). Quantunque il punto di vista sia sicuramente differente, facilmente si capirà come la concezione del “Regno dei Cieli” possa trasporsi metafisicamente: la crescita dell’albero è lo sviluppo delle possibilità; gli “uccelli del cielo”, che rappresentano gli stati superiori dell’essere, ricordano un simbolismo simile usato in un altro testo delle Upanishad. “Due uccelli, compagni inseparabili, stanno su uno stesso albero; l’uno mangia il frutto dell’albero, l’altro guarda ma non mangia" (Mundaka Upanishad, 3° Mundaka, 1° Khanda, shruti 1; Shwêtâshwatara Upanishad, 4°Adhyâya, shruti 6). Il primo di questi due uccelli è jîvâtmâ, implicato nel dominio dell’azione e delle sue conseguenze; il secondo è Âtmâ incondizionato, cioè pura Conoscenza; essi sono inseparabilmente uniti, poiché entrambi non si distinguono che in modo illusorio.”” (U.D.V. c.3 p.49)

      Riguardo gli uccelli che si posano sull’albero…

     “ ...e tale conquista dell’immortalità implica essenzialmente la reintegrazione nel centro dello stato umano, cioè nel punto in cui si stabilisce la comunicazione con gli stati superiori dell’essere. Appunto questa comunicazione viene rappresentata dalla comprensione del linguaggio degli uccelli; e, di fatto, gli uccelli sono presi come simbolo degli angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori. Abbiamo avuto occasione di citare altrove (n.1: “L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap.III.”) la parabola evangelica di cui si parla, in questo senso degli "uccelli del cielo" che vengono a posarsi sui rami dell’albero, in quello stesso albero che rappresenta l’asse che passa per il centro di ogni stato dell’essere e congiunge tutti gli stati fra loro. n.2: “Nel simbolo medievale del Peridexion (corruzione di Paradision), si vedono gli uccelli sui rami dell’albero e il drago ai suoi piedi (si veda Le Symbolisme de la Croix, cap.IX). In uno studio sul simbolismo dell’‘uccello del paradiso’ (“Le Rayonnement intellectuel”, maggio-giugno 1930), L.Charbonneau Lassay ha riprodotto una scultura in cui quest’uccello è raffigurato unicamente con una testa e un paio d’ali, forma sotto la quale sono spesso rappresentati gli angeli.”” (S.S.S. c.7 p.56)

 

33E con molte di tali parabole spiegava loro la parola a secondo che essi potevano intenderla; 34e non parlava loro senza parabole; ma ai propri discepoli, a parte, spiegava tutto.

    “ ...Ma, per tornare al mito, se esso non dice ciò che vuol dire, lo suggerisce attraverso quella corrispondenza analogica che è il fondamento e l’essenza stessa di ogni simbolismo; in questo modo, si potrebbe dire, si conserva il silenzio pur parlando, ed è da ciò che il mito ha ricevuto la sua denominazione.” n.1: “È da notare che è quel che significano le parole di Cristo, che confermano di fatto l’identità di fondo del “mito” e della “parabola” da noi prima segnalata: “Per coloro che sono al di fuori (espressione che equivale esattamente a quella di “profani”), io parlo per parabole, di modo che vedendo non vedano, e sentendo non sentano” (S.Matteo, XIII, 13; S.Marco, IV, 11-12; S.Luca, VIII, 10). Qui si tratta di coloro che non intendono se non quel che è detto letteralmente, che non sono capaci di andare al di là per afferrare l’inesprimibile, e per i quali, di conseguenza, “non è stato dato di conoscere il Mistero del Regno dei Cieli”; e l’uso della parola “mistero”, in quest’ultima frase del testo evangelico, è da notare in modo speciale con riferimento alle considerazioni che seguiranno.” (C.I. c.17 p.149)

    “Conformemente al secondo senso della parola “mistero”, senso che è già meno esteriore, essa indica ciò che si deve ricevere in silenzio, (n.2: “Qui si potrà anche ricordare la prescrizione del silenzio imposta un tempo in certe scuole iniziatiche, in particolare nella scuola pitagorica.”) ciò riguardo a cui non è opportuno discutere; da questo punto di vista tutte le dottrine tradizionali, compresi i dogmi religiosi che ne costituiscono un caso particolare, possono essere detti misteri (l’accezione di questa parola si estende in tal caso ad ambiti diversi da quello iniziatico, nei quali si esercita però ugualmente un’influenza “non umana”), perché sono verità che, in virtù della loro natura essenzialmente sovraindividuale e sovrarazionale, sono al di sopra di ogni discussione. (n.3: “Questa non è altro che l’infallibilità stessa inerente a ogni dottrina tradizionale.”) Ora si può dire, per ricollegare questo significato al precedente, che diffondere sconsideratamente fra i profani i misteri così intesi, significa inevitabilmente assoggettarli alla discussione, procedimento profano per eccellenza, con tutti gli inconvenienti che ne possono risultare e che sono riassunti perfettamente in quella parola, “profanazione”, che già in precedenza usavamo ad altro proposito, parola che qui deve essere intesa nella sua accezione insieme più letterale e più completa; il lavoro distruttivo della “critica” moderna nei confronti di tutte le tradizioni è un esempio troppo eloquente di ciò che vogliamo dire perché sia necessario insistere ulteriormente sull’argomento.” (C.I. c.17 p.151)

 

 LEGENDA


C.I. Considerazioni sull'iniziazione, Luni, Milano 1996

I.R.S. Iniziazione e realizzazione spirituale, Studi Tradizionali, Torino 1967

O.O. Oriente e Occidente, Luni, Milano 1993

R.Q.S.T. Il regno della quantità e i segni dei tempi, Adelphi, Milano 1982

S.C. Il simbolismo della croce, Rusconi, Milano 1973

S.S.S. Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975

U.D.V. L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, Studi Tradizionali Torino 1965

 

 

 

 


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