Peridexion Tree
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Marco
4 ...
La semina e la mietitura.- 26E diceva: “Il regno di Dio è
come un uomo che abbia gettato il seme sopra la terra; 27che dorma o
vegli, di notte o di giorno, il seme spunta e cresce, senza ch’egli sappia
come. 28Poiché la terra produce da sé, prima l’erba, poi la
spiga, poi il grano pieno nella spiga. 29E quando il frutto è
pronto, tosto egli vi mette la falce perché la messe è matura”.
Nel ventre tuo si raccese
l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore. Par.
XXXIII, 7-9
La
“germinazione” di Cristo nel grembo di Maria è ricordata da San Bernardo nel
canto finale del Paradiso dantesco. Guénon accosta questo simbolismo al cuore e
alla caverna.
“Detto questo, resta ormai solo da mostrare
come ciò che è contenuto nell’‘Uovo del Mondo’ sia realmente identico a ciò
che, come abbiamo detto precedentemente, è anche contenuto simbolicamente nel
cuore, e nella caverna in quanto ne è l’equivalente. Si tratta qui di quel
‘germe’ spirituale che, nell’ordine macrocosmico, è designato dalla tradizione
indù come Hiranyagarbha, cioè letteralmente l’‘embrione d’oro’; (n.5:
“Si veda L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. XIII.”) ora,
questo ‘germe’ è veramente l’Avatâra primordiale, (n.6: “A ciò si
ricollega pure la designazione di Cristo come ‘germoglio’ in vari testi delle
Scritture, di cui forse riparleremo in altra occasione.”) e abbiamo visto che
il luogo della nascita dell’Avatâra, come pure di ciò che vi corrisponde
dal punto di vista macrocosmico, è rappresentato precisamente dal cuore e dalla
caverna.” (S.S.S. c.32 p.194)
“Il Principio divino che risiede
al centro dell’Essere è rappresentato dalla dottrina indù come un seme o una
semente (dhâtu), come un germoglio (bhija), n.35: “Si osserverà a
questo proposito l’affinità delle parole latine gramen, grano, e germen,
germoglio. In sanscrito, la parola dhâtu serve anche a designare la
radice verbale, quasi fosse la “semente” il cui. sviluppo dà origine all’intero
linguaggio (cfr. L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, cap. XI).””
(S.S.S. c.73 p.381)
È difficile sondare gli effetti
del lavoro svolto in campo spirituale. Entrano in gioco forze di cui non
abbiamo nemmeno sentore. Mai disperare e mai sottovalutare.
"In altre parole, noi non intendiamo
essere in nessun modo esclusivi, e non riteniamo inutile nessun lavoro, per
poco che sia diretto nella direzione giusta; tutti gli sforzi, anche quelli che
si esercitassero nei campi più secondari, potrebbero condurre a qualcosa di non
completamente trascurabile, le cui conseguenze, senza essere di immediata
applicazione, potrebbero tornare utili in seguito e, coordinandosi con tutto il
resto, concorrere nella loro misura, seppur non molto rilevante, alla
costituzione di quell’insieme che abbiamo in vista per un avvenire senza dubbio
piuttosto lontano." (O.O. c.6 (parte II c.2) p.143)
Puri come colombe ma astuti come
serpenti…
“È ovvio che se qualcuno preferisse riunirsi e costituire delle specie
di «gruppi di studio», invece di lavorare isolatamente, non vedremmo in ciò un
pericolo, né un inconveniente, a condizione che queste persone fossero ben
convinte che non è necessario ricorrere a quel formalismo esteriore a cui la maggior
parte dei nostri contemporanei attribuiscono tanta importanza, proprio perché
per loro le cose esteriori sono tutto. Sennonché, anche se si trattasse
soltanto di formare dei «gruppi di studio», quando si volesse fare un lavoro
veramente serio e portarlo sufficientemente lontano, molte precauzioni
sarebbero tuttavia necessarie, giacché qualunque cosa venga compiuta in questo
campo mette in gioco forze di cui la gente comune non sospetta nemmeno
l’esistenza, e mancando di prudenza ci si espone a strane reazioni, per lo meno
fintanto che non sia stato raggiunto un certo livello.” (O.O. p.151)
“È perciò un errore grave quello
di servirsi ‑ come abbiamo visto fare spesso a certo scrittore massonico,
evidentemente molto soddisfatto di tale «trovata» piuttosto dubbia ‑
dell’espressione «giocare al rituale» parlando dell’effettuazione dei riti
iniziatici da parte di individui che ne ignorano il significato e non cercano
neppure di penetrarlo; un’espressione simile non si adatterebbe se non al caso
di profani che simulassero i riti, non possedendo la qualità per effettuarli in
modo valido; di fatto, in un’organizzazione iniziatica, per quanto degenerata
essa possa essere per quanto riguardi la qualità dei suoi membri attuali, il
rituale non è qualcosa a cui si possa giocare: esso è e rimane sempre una cosa
seria e realmente efficace, anche all’insaputa di coloro che vi prendono
parte.” (C.I. c.15 p.130 n.1)
Il granello di senapa. – 30E
diceva: “A che cosa paragoneremo noi il regno di Dio o in quale parabola lo
rappresenteremo? 31Egli è come un granello di senapa, che,
quando si semina in terra, è il più piccolo di tutti i semi in terra, 32ma,
seminato che è, cresce e diventa il maggiore di tutti i legumi e fa rami sì
grandi che gli uccelli del cielo possono mettersi al riparo della sua ombra”.
“L’albero a cui ci riferiamo presenta foglie
trilobate, ciascuna unita a due rami, e sul contorno, fiori a forma di calice;
degli uccelli volano o si posano su di esso. A proposito del rapporto fra il
simbolismo degli uccelli e quello dell’albero, nelle diverse tradizioni, si cf.
L’Homme et son devenir… cit., c.III, dove, a questo proposito, abbiamo
ricordato alcuni testi delle Upanishad e la parabola evangelica del
granello di senape; si possono aggiungere i due corvi messaggeri di Odino della
tradizione scandinava, che si riposano sul frassino Ygdrasil, a sua
volta raffigurazione dell’“albero del mondo”: Nel simbolismo medioevale,
troviamo ancora degli uccelli sull’albero Peridexion, ai piedi del quale
è un drago; il nome di questo albero è una corruzione della parola Paradision
e può sembrare abbastanza strano che sia stata così deformata, quasi che a un
certo momento il suo significato abbia cessato d’essere compreso.” (S.C. c.9 p.94
n.21)
“È impossibile non restare colpiti dalla
somiglianza dei termini di questo passo [cf. nota prec.] con quelli della
parabola evangelica... (n.15: “Matteo, XIII, 31-32; cf. Marco,
IV, 30-32; Luca, XIII, 18-19.”) A questo accostamento, che sembra
imporsi, si potrebbe fare solo un’obiezione: è veramente possibile assimilare
all’“Atmâ che risiede nel cuore” quello che il Vangelo designa come
“Regno dei Cieli” o “Regno di Dio”? Lo stesso Vangelo fornisce la risposta a
questa domanda, risposta nettamente affermativa; infatti, ai Farisei che
chiedevano quando sarebbe venuto il “Regno di Dio”, intendendolo in un senso
esteriore e temporale, Cristo dice queste parole: "Il Regno di Dio non
viene in modo da colpire lo sguardo; non si dirà: È qui, o: È là; poiché il
Regno di Dio è dentro di voi, Regnum dei intra vos est”.” (S.S.S. c.73 p.379)
“ …, ogni tradizione contiene, fin
dall’origine, tutta intera la dottrina, comprendendo in principio la totalità
degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel
corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i
campi; per cui gli interventi puramente umani non possono che limitarla e
sminuirla, se non snaturarla del tutto, ed è appunto in questo che consiste
realmente l’opera dei “riformatori”.” (R.Q.S.T. c.11 p.80 n.1) Cfr. I.R.S. c.30 p.251
““Quest’Âtmâ, che sta nel cuore, è più piccolo di un chicco di riso, più
piccolo di un chicco d’orzo, più piccolo di un chicco di mostarda, più piccolo
di un chicco di miglio; quest’Âtmâ,
che sta nel cuore, è anche più grande della terra (il dominio della
manifestazione grossolana), più grande dell’atmosfera (il dominio della
manifestazione sottile), più grande del cielo (il dominio della manifestazione
informale), più grande di tutti
questi mondi insieme (vale a dire oltre tutta la manifestazione, essendo
l’incondizionato). n.1: “Chândogya Upanishad, 3° Prapâthaka,
14°Khanda, shruti 3.- È d’uopo ricordare a questo proposito la parabola del
Vangelo: “Il Regno dei Cieli è simile ad un granello di senapa che un uomo
prende e semina nel suo campo; esso è il più piccolo di tutti i semi; ma quando
è cresciuto, è maggiore di tutti gli altri legumi e diviene albero, tanto che
gli uccelli del cielo vengono a riposarsi sui suoi rami” (S.Matteo,
XIII, 31 e 32). Quantunque il punto di vista sia sicuramente differente,
facilmente si capirà come la concezione del “Regno dei Cieli” possa trasporsi
metafisicamente: la crescita dell’albero è lo sviluppo delle possibilità; gli
“uccelli del cielo”, che rappresentano gli stati superiori dell’essere,
ricordano un simbolismo simile usato in un altro testo delle Upanishad.
“Due uccelli, compagni inseparabili, stanno su uno stesso albero; l’uno mangia
il frutto dell’albero, l’altro guarda ma non mangia" (Mundaka Upanishad,
3° Mundaka, 1° Khanda, shruti 1; Shwêtâshwatara Upanishad, 4°Adhyâya,
shruti 6). Il primo di questi due uccelli è jîvâtmâ, implicato nel
dominio dell’azione e delle sue conseguenze; il secondo è Âtmâ
incondizionato, cioè pura Conoscenza; essi sono inseparabilmente uniti, poiché
entrambi non si distinguono che in modo illusorio.”” (U.D.V. c.3 p.49)
Riguardo gli uccelli che si posano sull’albero…
“ ...e tale conquista
dell’immortalità implica essenzialmente la reintegrazione nel centro dello
stato umano, cioè nel punto in cui si stabilisce la comunicazione con gli stati
superiori dell’essere. Appunto questa comunicazione viene rappresentata dalla comprensione
del linguaggio degli uccelli; e, di fatto, gli uccelli sono presi come simbolo
degli angeli, vale a dire precisamente degli stati superiori. Abbiamo avuto
occasione di citare altrove (n.1: “L’Homme et son devenir selon le Vêdânta,
cap.III.”) la parabola evangelica di cui si parla, in questo senso degli
"uccelli del cielo" che vengono a posarsi sui rami dell’albero, in
quello stesso albero che rappresenta l’asse che passa per il centro di ogni
stato dell’essere e congiunge tutti gli stati fra loro. n.2: “Nel simbolo
medievale del Peridexion (corruzione di Paradision), si vedono
gli uccelli sui rami dell’albero e il drago ai suoi piedi (si veda Le
Symbolisme de la Croix, cap.IX). In uno studio sul simbolismo dell’‘uccello
del paradiso’ (“Le Rayonnement intellectuel”, maggio-giugno 1930),
L.Charbonneau Lassay ha riprodotto una scultura in cui quest’uccello è
raffigurato unicamente con una testa e un paio d’ali, forma sotto la quale sono
spesso rappresentati gli angeli.”” (S.S.S. c.7 p.56)
33E con
molte di tali parabole spiegava loro la parola a secondo che essi potevano
intenderla; 34e non
parlava loro senza parabole; ma ai propri discepoli, a parte, spiegava tutto.
“ ...Ma, per tornare al mito, se
esso non dice ciò che vuol dire, lo suggerisce attraverso quella corrispondenza
analogica che è il fondamento e l’essenza stessa di ogni simbolismo; in questo
modo, si potrebbe dire, si conserva il silenzio pur parlando, ed è da ciò che
il mito ha ricevuto la sua denominazione.” n.1: “È da notare che è quel che
significano le parole di Cristo, che confermano di fatto l’identità di fondo
del “mito” e della “parabola” da noi prima segnalata: “Per coloro che sono al
di fuori (espressione che equivale esattamente a quella di “profani”), io parlo
per parabole, di modo che vedendo non vedano, e sentendo non sentano” (S.Matteo,
XIII, 13; S.Marco, IV, 11-12; S.Luca, VIII, 10). Qui si tratta di
coloro che non intendono se non quel che è detto letteralmente, che non sono
capaci di andare al di là per afferrare l’inesprimibile, e per i quali, di
conseguenza, “non è stato dato di conoscere il Mistero del Regno dei Cieli”; e
l’uso della parola “mistero”, in quest’ultima frase del testo evangelico, è da
notare in modo speciale con riferimento alle considerazioni che seguiranno.” (C.I.
c.17 p.149)
“Conformemente al secondo senso
della parola “mistero”, senso che è già meno esteriore, essa indica ciò che si
deve ricevere in silenzio, (n.2: “Qui si potrà anche ricordare la prescrizione
del silenzio imposta un tempo in certe scuole iniziatiche, in particolare nella
scuola pitagorica.”) ciò riguardo a cui non è opportuno discutere; da questo
punto di vista tutte le dottrine tradizionali, compresi i dogmi religiosi che
ne costituiscono un caso particolare, possono essere detti misteri (l’accezione
di questa parola si estende in tal caso ad ambiti diversi da quello iniziatico,
nei quali si esercita però ugualmente un’influenza “non umana”), perché sono
verità che, in virtù della loro natura essenzialmente sovraindividuale e
sovrarazionale, sono al di sopra di ogni discussione. (n.3: “Questa non è altro
che l’infallibilità stessa inerente a ogni dottrina tradizionale.”) Ora si può
dire, per ricollegare questo significato al precedente, che diffondere
sconsideratamente fra i profani i misteri così intesi, significa
inevitabilmente assoggettarli alla discussione, procedimento profano per
eccellenza, con tutti gli inconvenienti che ne possono risultare e che sono
riassunti perfettamente in quella parola, “profanazione”, che già in precedenza
usavamo ad altro proposito, parola che qui deve essere intesa nella sua
accezione insieme più letterale e più completa; il lavoro distruttivo della
“critica” moderna nei confronti di tutte le tradizioni è un esempio troppo
eloquente di ciò che vogliamo dire perché sia necessario insistere
ulteriormente sull’argomento.” (C.I. c.17 p.151)
LEGENDA
C.I. Considerazioni sull'iniziazione, Luni, Milano 1996
I.R.S. Iniziazione e realizzazione spirituale, Studi
Tradizionali, Torino 1967
O.O. Oriente e Occidente, Luni,
Milano 1993
R.Q.S.T. Il regno della quantità e i segni dei tempi, Adelphi, Milano 1982
S.C. Il simbolismo della croce,
Rusconi, Milano 1973
S.S.S. Simboli della scienza sacra, Adelphi,
Milano 1975
U.D.V. L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, Studi Tradizionali Torino 1965
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