Il Dono delle lingue
Duccio di Buoninsegna
(1255-1319) – La Pentecoste
Il passo degli Atti degli Apostoli in cui si fa riferimento al “dono delle lingue” è il seguente:
2 La Pentecoste 1Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; 4ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. 5Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. 6Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. 7Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? 8E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, 11Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l'un l'altro: «Che significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto».
Successivamente se ne riscontra un accenno qui:
10 Il battesimo dei primi pagani 44Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. 45E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; 46li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. 47Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?». 48E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
Nelle fasi della realizzazione spirituale si
percorre un ritorno alle origini che comporta andare a ritroso, riacquisendo le
prerogative di epoche trascorse, qualitativamente migliori. Per cui, raggiunto
il centro dello stato umano, si possono dominare da una posizione privilegiata
i raggi della circonferenza che comprendono anche lo sviluppo dei diversi
idiomi. L’acquisizione del “dono delle lingue” non è il frutto di faticosi
studi favoriti da una speciale predisposizione ma la logica conseguenza
dell’acquisizione dello “stato primordiale”, la pienezza dello stato umano. La
ricerca o l‘imposizione di un’unica lingua (dall’ormai desueto Esperanto al moderno basic english) seguendo solo esigenze
socio-economiche ottiene quell’artificiale unità che contraddistingue
quest’epoca. Si ricerca l’uniformità invece di una reale unità basata su
principi sovra-umani che invece vengono costantemente negati.
Così come vi sono ancora tradizioni eredi legittime della “Tradizione Primordiale” nella nostra età oscura, così "…sembra che la lingua primitiva si sia conservata fino ad un’epoca che, per quanto possa apparire remota a noi, è nondimeno molto distante dai tempi primordiali: è il caso del racconto biblico della «confusione delle lingue», la quale, per quanto si possa tentare di riferirla ad un periodo storico determinato, può solo corrispondere all’inizio del Kali-Yuga; ora, è certo che anche molto prima vi sono state delle forme tradizionali particolari, ed ognuna di esse ha dovuto avere una propria lingua; ne consegue che questa persistenza della lingua unica delle origini non deve essere intesa alla lettera, quanto piuttosto nel senso che, fino ad allora, la coscienza dell’unità essenziale di tutte le tradizioni non era ancora andata perduta. n.4: “A questo proposito, si potrebbe far notare che ciò che viene chiamato il «dono delle lingue» si identifica con la conoscenza della lingua primitiva intesa in maniera simbolica (si veda il cap. XXVII di Considerazioni sulla Via Iniziatica).” (S.M.C.2 p.26 n.4)
È così svelato il
significato profondo di questo “potere”, che è la manifestazione tangibile
della coscienza dell’unità di fondo delle forme tradizionali, rami di uno
stesso albero.
Neanche il sincretismo ha
ragion d’essere perché chi è giunto al termine della via non ne deve percorrere
più alcuna; “egli potrà perciò, se ne è il
caso, praticare indistintamente tutte le forme, ma proprio perché le ha
superate, e perché per lui esse sono ormai unificate nel loro principio comune.
Generalmente, però, egli continuerà a questo punto ad attenersi esteriormente a
una forma definita, non foss’altro che a modo di «esempio» per coloro che
stanno intorno a lui e non sono arrivati al suo stesso punto; sennonché, se
circostanze particolari si produrranno, che lo esigano, potrà anche,
giustificatamente, partecipare ad altre forme, inteso che, nel punto in cui è,
non ci sono più reali differenze. D’altra parte, dal momento che tali forme
sono per lui unificate in questo modo, ciò non comporterà commistioni né
confusioni di sorta, quali sono necessariamente provocate solo dalla diversità
come tale; ma, ripetiamo, questo è unicamente il caso di colui che è
effettivamente di là da tale diversità: per lui le forme non rivestono più il
carattere di vie o di mezzi - dei quali non ha più bisogno -, e non
sopravvivono più se non in quanto espressioni della Verità una, espressioni
delle quali è altrettanto legittimo servirsi a seconda delle circostanze quanto
lo è il parlare lingue diverse per farsi capire da coloro a cui ci si rivolge. n.1 È precisamente questo che, dal punto di vista
iniziatico, significa in realtà quello che è detto il «dono delle lingue», ... (C.I.
c.7 p.56)
Stante il fatto che il Poverello d’Assisi
era in grado di farsi intendere dagli animali, come il lupo di Gubbio e, in
particolar modo, dagli uccelli, si può ritenere che il suo viaggio non fu un
tuffo nell’ignoto in piena campagna bellica ma che fu ben programmato.[1]
C.I. Considerazioni sull’iniziazione
[1] Cfr. F. Galletti, “La bella veste della Verità”, Mimesis, Milano-Udine 2020 pp.151-176
sul ruolo dei Francescani.
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