Sul significato simbolico delle buone maniere

 


    Il presente sintetico lavoro prende spunto e attinge dall’articolo “Il significato simbolico delle buone maniere” di Franco Galletti apparso sul numero 10 della rivista “Perennia Verba” del 2008, cui mi riferirò col solo numero di pagina. Avrebbe dovuto avere, nelle mie intenzioni, un andamento più lineare, sulla falsa riga del motto attribuito (quanto meno al cinema) a San Filippo Neri (1515-1595) “State buoni, se potete”, in equilibrio tra la ricerca della perfezione e le debolezze dell’animo umano. Invece i molteplici spunti contenuti nell’articolo, che certamente era impossibile sviluppare tutti, mi hanno spinto altrove, lambendo concetti come il bello, il bene e l’armonia.

    In una società compiutamente tradizionale, quale è difficile scorgerne al giorno d’oggi,  ogni azione è sacralizzata, e le buone maniere scaturiscono, per così dire, di conseguenza. Ciò non toglie che rientrino nel novero delle norme di base.

   Nel primo testo considerato di origine celeste, Le Leggi di Manu[1], redatte dal capostipite dell’umanità, quell’ “Intelligenza cosmica che […] riflette la Volontà divina ed esprime l’Ordine universale”[2], vi sono infatti indicazioni stringenti sul comportamento da tenersi con il prossimo.

   Così Coomaraswamy: “La caratteristica che contraddistingue una società tradizionale è l’ordine. Tutta la vita della comunità e quella dell’individuo, qualunque sia la funzione particolare che egli ricopre, si conforma a modelli prestabiliti, di cui nessuno mette in dubbio la validità: il criminale è un uomo che non sa comportarsi correttamente, non uno che non vuole.  n.12: “Il peccato, sanscr. aparāddha, « mancare il bersaglio » , qualunque « deviazione dall’ordine verso il fine » è una sorta di goffaggine dovuta a scarsa abilità. […] Ogniqualvolta l’azione sia di per sé corretta, questa stessa azione è simbolica e fornisce una disciplina, una via, seguendo la quale si giunge necessariamente al fine supremo; al contrario, chiunque agisca senza riguardo per la forma ha opinioni proprie e, « sapendo cosa gli piace », riduce la sua persona alla misura della sua individualità.””[3]

   Alle nostre latitudini è possibile ritrovare un trait d’union tra epoche diverse all’insegna della ricerca dell’armonia. Pitagora “dal “dio geometra” [Apollo] aveva appreso la misura delle cose nei rapporti matematici tra le note musicali (in latino modi) che si rapportavano anche ai modi dell’anima (e perciò del comportamento) e alle proporzioni tra le orbite dei pianeti, e nei rapporti geometrici come la sezione aurea che tanta importanza avrebbe assunto nell’architettura medievale e rinascimentale. […] È noto quale ruolo il pitagorismo abbia svolto nell’antica Roma, nel medioevo monastico e nelle scienze del trivio e del quadrivio […] Così la condotta moderata del monaco e del gentiluomo medievale deve essere ricondotta, almeno idealmente ma obbligatoriamente, ancor prima che a Cicerone, alla tradizione pitagorica. Questa a sua volta si considerava in continuità con una primordiale tradizione apollinea, essendo Apollo il solare dio della luce preposto alla bellezza, alla musica, all’armonia delle sfere celesti e più in generale e all’ordine imposto da Zeus nell’universo.”[4]

   Questa eredità è richiamata qui: “…se questo simbolismo [dei numeri] non è unicamente pitagorico, se si ritrova in altre dottrine per la semplice ragione che la verità è una, è nondimeno permesso di pensare che, da Pitagora a Virgilio e da Virgilio a Dante, la «catena della tradizione» non fu senza dubbio rotta sulla terra d’Italia.[5]

   Il legame tra l’armonia delle forme in generale, e in particolare di quelle architettoniche,  con l’animo umano può essere facilmente verificato esaminando cosa producono i quartieri dormitorio figli dell’edilizia del boom economico, soprattutto se griffati da qualche archistar fiera nemica di qualsiasi passatismo. Se non altro l’astrattezza delle forme riversata su una tela provoca straniamento solo quando la si osserva, mentre edifici disumani ed alienanti esercitano la loro azione disturbante a tempo pieno. Vogliamo parlare delle chiese occidentali nate nel XX secolo, richiamanti ogni cosa, divino a parte?

   Si ha la netta impressione che a latitare sia proprio la Sapienza, che nella Bibbia si identifica con il Grande Architetto dell’Universo.

27 Quando egli disponeva i cieli io ero là;
quando tracciava un circolo sulla superficie dell'abisso,
28 quando condensava le nuvole in alto,
quando rafforzava le fonti dell'abisso,
29 quando assegnava al mare il suo limite
perché le acque non oltrepassassero il loro confine,
quando poneva le fondamenta della terra,
30 io ero presso di lui come un artefice;    Proverbi, 8

 e nel contempo proclama la sua repulsione verso le bassezze di ogni genere.

 13 …io odio la superbia, l'arroganza, 

la via del male e la bocca perversa.  Proverbi, 8

 

     Il termine “buono” presuppone un significato superiore a quello morale-sentimentale comunemente inteso, riportando a una conformità all’ordine in senso lato.[6]

    Gen. I - 9Poi Dio disse: “Si radunino tutte le acque, che sono sotto il cielo, in un sol luogo e apparisca l’Asciutto”. E così fu. 10E chiamò l’asciutto Terra e la raccolta delle acque chiamò Mari. E Iddio vide che ciò era buono.

   Luc. XVIII - 18Un tale, di nobile famiglia, lo interrogò dicendo: “O buon maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?”. 19Gesù gli rispose: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo …”

   Nell’Islam riveste particolare importanza il concetto di adab, il modo corretto di vivere, che ha dato origine a una vasta letteratura, ispirata dagli Hadith che riportano testimonianze della vita del Profeta Muhammad. Le indicazioni richiamano “…tatto, delicatezza, cortesia, buona creanza, contegno appropriato, compostezza, savoir vivre, mettere a proprio agio, riprendere indirettamente i vizi e gli errori altrui e molto altro ancora, compresa la consapevolezza del fatto che ogni creatura ha un posto nell’universo che deve essere rispettato.[7] Come in ogni tradizione, viene inoltre ribadito il grandissimo valore dell’ospitalità, come quella che ricevette Muhammad quando si spostò a Medina.

   La distruzione di Sodoma e Gomorra fu dovuta non solo alla diffusione del noto peccato ma fu innescata dalla violazione della doverosa accoglienza[8] verso gli esseri angelici che dimoravano presso Lot, che si salvò per averli difesi.[9]

    Lo stesso Giuda per aver accettato un pezzo di pane da Cristo, ne tradì non solo la missione ma anche la sua funzione di ospite, esercitata in una cena pasquale rituale.[10]

 

DAL MEDIOEVO IN POI

 

   In Occidente la comparsa[11] di trattati dedicati al buon comportamento in pieno Umanesimo, come “Il Galateo” di Monsignor della Casa (1503-1556) e “Il Cortegiano” di Baldassare Castiglione (1478-1526) segnò una delle tante fratture rispetto a una struttura unitaria della società. Le motivazioni a un comportamento adeguato erano sempre più umane e utilitaristiche e sempre meno trascendenti. Della stessa epoca è il trattato “Il Principe” di Niccolò Machiavelli (1469-1527), manuale per la conquista e la conservazione del potere. Occorre altresì aggiungere che la dissimulazione non è certo sorta dal nulla nel XVI secolo, potendosi elencare molti uomini di potere in epoche precedenti usi a comportamenti opportunisti e ambigui, ammantati o meno da belle maniere. Si pensi ai papi simoniaci conficcati nel terreno e con le palme dei piedi infuocate nella terza bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), tra cui spicca Niccolò III (1277-1280) che attende l’arrivo dei successori Bonifacio VIII (1294-1303) e Clemente V (1305-1314), quest’ultimo responsabile dello scioglimento dell’Ordine Templare. Tra i monarchi francesi Luigi XI (1423-1483) è passato alla storia come il ragno per la sua capacità di tessere legami e di tramare.[12] La prudenza è pur sempre una virtù cardinale, come ricorda l’evangelista: “Siate dunque prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe”. Mat. 10,16.

   Sono diverse le svolte che a partire dal ‘400 con la fine del Medioevo si impressero nella mentalità del tempo. Nel rapporto con il bello, e quindi con l’arte, non trascurabile è la nascita (o rinascita, pensando a qualche fenomeno di tale natura nell’antichità classica) del collezionismo, che supera il significato rituale di un’opera d’arte, per porla in un’astrazione collettiva in cui la fruizione è solo estetica[13]. Assume inoltre significato il possesso esclusivo e privato dell’opera, da cui lo sviluppo del mercato dell’arte. Notiamo per inciso che la cacciata dei mercanti dal Tempio non fu fatta, a ragione, con modi delicati.

   I signori rinascimentali, versati nell’arte della guerra, come Federico da Montefeltro (1422-1482) cui dobbiamo la magnificenza di Urbino, o negli affari, si pensi ai Medici,  volevano aumentare il loro prestigio circondandosi di artisti e intellettuali. Si configurava così una concezione moderna e mondana dell’arte, raffinato svago per pochi, nel progressivo oblio dell’evocazione a favore della descrizione. A parziale compensazione pensiamo che Leonardo, Giorgione, Dürer, Bosch e altri ancora sono stati in grado comunque di elargirci opere di grande qualità e cariche di testimonianze di un sapere ermetico ancora vivente.[14]

   In questa progressiva parcellizzazione del sapere, in primis con il solco tra la sfera umanistica e quella scientifica, i modi di fare diventavano meno naturali e più costruiti. Anche la partecipazione ai riti exoterici, cioè la Messa, richiedeva maggior compunzione, per la distinzione che, in un mondo sempre più secolarizzato, occorreva fare tra il tempo sacro e quello profano. Prevalse la cupezza e tramontarono, sia pur gradualmente, usanze particolari come il Risus Paschalis, ovvero l’aggiunta di battute, balletti, canti a volte decisamente volgari da parte dei sacerdoti nella predica pasquale, culmine della gioia per un cristiano. È possibile che queste bizzarre commistioni, vicine alle inversioni carnevalesche, siano con il tempo sfuggite di mano, sovrastate poi dal grigiore mediano tipico della borghesia benpensante.[15] Non dimentichiamo che i modi grezzi del popolino celano la capacità di trattenere, senza filtri intellettualoidi, contenuti tradizionali anche molto remoti, che convergono nel folclore.[16]

    Nel suo viaggio agli inferi Dante non si perita di adottare un linguaggio crudo, in sintonia con l’ambiente e i personaggi incontrati. Il Medioevo era molto meno moralista di quanto non si pensi. Del resto la varietà degli ambienti e delle situazioni richiede atteggiamenti diversi, di necessità. À la guerre comme à la guerre, si dice, e il Sommo, con un’osservazione apparentemente scontata, ci ricorda che gli interlocutori non sono sempre gli stessi[17]:

                          ne la chiesa coi santi, e in taverna co’ ghiottoni (Inf. XXII, 15)

   Lo stesso Poeta viene in una circostanza lodato da Virgilio per aver degnamente affrontato, senza tanti complimenti, un dannato:

 «Alma sdegnosa, 

benedetta colei che ’n te s’incinse! … (Inf. VII, 44-45)


   Però, prima di affrontare Ulisse e Diomede, che sono ancor più giù nell’ottava bolgia dei consiglieri fraudolenti, il Vate Mantovano raccomanda il bon ton, rivolgendosi lui stesso ai greci con reverenza:

"O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
                           dove, per lui, perduto a morir gissi". 
(Inf. XXVI, 79-84)

    Nella concezione dantesca vi era la precisa coscienza che alla base della “cortesia o curialitas (dal latino curia = corte) praticata nelle corti feudali, « equilibrata regola delle cose da compiere »” vi erano ordine e misura, concetti che si ampliavano verso la “ magnanimità/liberalità, virtù eminentemente « moderatrice »”.[18]  Traspare una visione ampia, non settoriale della buona regola di vita, non dettata da opportunità, termine affine al meno lodevole opportunismo né dalle convenzioni, cioè convenienze non disinteressate[19]. Non si era ancora manifestata quella opposizione tra costume e tradizione a scapito di quest’ultima, progressivamente sostituita da usi profani chiusi alla trascendenza.[20]  

   Nella storia del colonialismo, nella fase iniziale di penetrazione nel Celeste Impero, l’avversione provata dai cinesi verso gli avventurieri bianchi nacque in primis dall’ineducazione degli stessi. “È un fatto che i primi commercianti portoghesi che giunsero a Canton furono bene accolti dai mercanti cinesi e incoraggiati a ritornare. Un inviato portoghese alla Corte di Pechino, giunto sulla stessa nave, ebbe il permesso di proseguire sino alla capitale. Ma una seconda nave trasportava una ciurma il cui comportamento, che fu poi imitato per molto tempo, offese i cinesi, i quali, per rappresaglia, imprigionarono l’inviato, costrinsero la nave a uscire dal porto e vietarono, per l’avvenire, l’ingresso dei portoghesi.”[21] Come sappiamo quella proibizione non bloccò i soprusi che seguirono, tra cui le due guerre dell’oppio nel XIX secolo, in cui la rigida morale protestante non impedì agli inglesi di spingere per la diffusione del consumo di droga in Cina.[22]

   È impossibile in chiusura trascurare la regola che contraddistingue di più i nostri tempi, il politicamente corretto,  “… un atteggiamento che per non urtare la sensibilità di nessuno adotta contorti eufemismi ai quali si è obbligati a ricorrere pena l’ostracismo della collettività e l’attacco concentrico da parte dei mezzi d’informazione.”[23] Inoltre sembra, con un’inversione assai significativa, che si debba riservare il massimo rispetto verso atteggiamenti quanto meno discutibili, una volta giustamente sottratti all’onor del mondo, mentre il vituperio è libero nei confronti di chi si oppone a una degenerazione che pare inarrestabile. La riscrittura dei classici della letteratura e delle stesse fiabe nell’ottica della cancel culture porterà a non offendere più nessuno, a parte l’intelligenza. 

Ciò non produce stupore in chi conosce l’andamento del ciclo umano, qui riassunto:

    Nei paesi di tradizione araba si dice che nei tempi più antichi gli uomini non si distinguevano fra loro che per la conoscenza; in seguito furono prese in considerazione la nascita e la parentela; più tardi ancora fu la ricchezza ad esser considerata come un distintivo di superiorità; ed infine, nei tempi più recenti, si giudicarono gli uomini soltanto in base alle apparenze esteriori. Ci si può facilmente render conto che questa è un’esatta descrizione del predominio successivo, in ordine discendente, dei punti di vista rispettivamente corrispondenti a quelli delle quattro caste o, se si preferisce, alle divisioni naturali cui esse corrispondono. Ora, la consuetudine appartiene incontestabilmente al dominio delle pure apparenze esteriori dietro le quali non c’è niente; osservare la consuetudine, per tener conto di un’opinione che non valuta se non tali apparenze, corrisponde quindi all’atteggiamento tipico dello Shûdra.[24]

 

 

 



[1] W. Doniger (a cura di), Le Leggi di Manu, Adelphi, Milano 1996, p.116.

[2] R. Guénon, Studi sull’Induismo, Luni, Milano 1996, p.102.

[3] A.K. Coomaraswamy, Il grande brivido, Adelphi, Milano 1987, p.238.

[4] p.28

[5] Id., Esoterismo di Dante, Atanòr, Roma 1976, p.17.

[6] p.22

[7] p.32

[8]  p.43

[9] Lot ebbe anche il merito di insistere dopo il primo diniego dei due viandanti. L’insistenza, oggi generalmente mal sopportata, è uno dei doveri dell’ospite, e cedervi significa fare onore e gratificare l’anfitrione, anche a rischio di un rialzo dei livelli lipidici nel sangue.

[10] p.47

[11] p.23

[12] La storiografia recente lo descrive più indeciso e timoroso piuttosto che come freddo calcolatore. Sicuramente dette impulso alla centralizzazione del potere, rafforzando l’idea di nazionalità francese. Sull’importanza delle divisioni nazionali sui destini dell’Occidente v. Autorità spirituale e potere temporale.

[13] A.K. Coomaraswamy, Bellezza e verità, Luni, Milano 2017, c.I “Perché esporre le opere d’arte?”

[14] Così come i fautori della nascita nel 1717 della Mass.˙. Speculativa non poterono celare i simboli muratori, la cui intrinseca forza favorì un recupero, sia pur parziale, della ritualità precedente – v. l’azione degli Antients – così i contenuti delle arti figurative non piombarono improvvisamente nel mero naturalismo, riferendosì però più alla tradizione classica rispetto a quella cristiana.

[15] https://www.festivaldelmedioevo.it/portal/risus-paschalis-le-barzellette-oscene-dei-preti/

[16] Al riguardo vedi  Iniziazione e realizzazione spirituale, Studi Tradizionali, Torino 1967, c. XXVIII “Il travestimento «popolare»; Bellezza e verità, cit., c.VIII “La natura del “folclore” e dell’”arte popolare”.

[17] Il sergente Foley nel film “Ufficiale e gentiluomo” (1982) dimostra come l’insulto e le maniere brusche abbiano una funzione formativa, puntando a un ridimensionamento dell’ego dei sottoposti. Per inciso Louis Gossett Jr. che interpretava l’istruttore vinse l’Oscar.  

[18] p.25

[19] p.23

[20] V. “Il costume contro la tradizione”, c.IV di Iniziazione e realizzazione spirituale, cit.

[21] N. Peffer, L’Estremo Oriente, Feltrinelli, Milano 1962 p.53.

[22] L’oppio, coltivato soprattutto in India, colonia inglese, trovò uno straordinario sbocco nella Cina che ne aveva sempre impedito l’importazione massiva, ben conoscendo i rischi insiti in un suo consumo diffuso. Sarebbe interessante indagare, avendone tempo e mezzi, su come la moda dello sballo facile, dal mitico ’68 in poi, abbia trovato solide sponde nei servizi segreti di qualche potenza altresì dispensatrice di “democrazia” per ogni dove. 

[23] p.79 n.159

[24]Il costume contro la tradizione” cit. p.49.


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