DOMINE, QUO VADIS?

 


"DOMINE, QUO VADIS?"

    Gli Atti di Pietro sono un testo apocrifo composto in greco nel II secolo. "La tradizione indica come autore un certo Leucio Carino, discepolo dell'apostolo Giovanni, che avrebbe composto anche altri Atti apocrifi, compresi nel cosiddetto "ciclo leuciano" (Atti di Pietro, Giovanni, Andrea, Tommaso, Paolo); secondo gli studiosi moderni fu scritto sulla base degli  Atti di Giovanni." (da Wikipedia)

  Da essi è tratto il celeberrimo episodio del "Quo vadis?" che è riportato così:

[35 (6), 1] Fuga di Pietro, suo ritorno e crocifissione. Mentre complottavano così, Santippe venne a conoscere l'incontro di suo marito con Agrippa e mandò qualcuno a comunicarlo a Pietro affinché si allontanasse da Roma. Ed anche gli altri fratelli, compreso Marcello, l'esortavano ad andarsene. Ma Pietro diceva loro: "Dobbiamo dunque fuggire, fratelli?". Ma essi gli risposero: "No! Tu però puoi servire ancora il Signore". E, obbedendo ai fratelli partì da solo, dicendo: "Nessuno di voi venga via con me! Cambierò il mio vestito e poi uscirò solo".

[2] Ma mentre attraversava la porta, vide il Signore che entrava in Roma e gli disse: "Signore, dove (vai) così?". Il Signore gli rispose: "Entro in Roma per esservi crocifisso". E Pietro a lui: "Signore, per essere nuovamente crocifisso?". Rispose: "Sì, Pietro, sarò nuovamente crocifisso". Pietro, entrato in se stesso, vide il Signore salire in cielo e se ne ritornò a Roma allegro e glorificando il Signore poiché egli stesso aveva detto: "Sarò crocifisso". Ciò doveva dunque capitare a Pietro.

  In latino lo scambio con Cristo (sottolineato sopra) suona così: Pietro: "Domine, Quo vadis?" Il Signore: "Eo Romam iterum crocifigi"

  Si trattò dell'ultima riluttanza a compiere il sacrificio di sé da parte di Pietro dopo i tre canonici rinnegamenti prima che il gallo cantasse due volte. - Mc14,66-72; Mt26,69-75; Lc22,56-62.

  L'espressione "Quo vadis?" è divenuta estremamente popolare grazie all'omonimo romanzo scritto nel 1894 dal polacco Henryk Sienkiewicz, premio Nobel per la letteratura nel 1905. Ne sono stati tratti tre adattamenti cinematografici, di cui il più famoso è senz'altro quello del 1951 con Robert Taylor e Deborah Kerr.

  Nel luogo dove si svolse l'incontro sorge la chiesa di Santa Maria in Palmis, più nota come "Domine, quo vadis?".

  Al suo interno si può vedere, difesa da una grata metallica, un calco di due impronte di piedi che furono lasciate da Gesù Cristo nel momento in cui tornò in cielo. - 



Anche nella chiesa di San Sebastiano e di Pietro e Paolo, situata a circa due kilometri di distanza sempre sull'Appia Antica, è custodita una reliquia che riproduce le impronte originali dell'evento. – v. Immagine di apertura

  Sull'importanza delle reliquie nella consacrazione dei templi cristiani riporto un ampio stralcio tratto dal libro di Claudio Lanzi "Ritmi e Riti"  Simmetria Edizioni 2007 p.123:

   "La consacrazione avveniva dunque dopo molti giorni di preparazione ed uno di vigilia, nel quale, di norma, venivano preparate le reliquie in un apposito contenitore, insieme a tre grani d’incenso e ad una pergamena attestante il valore delle stesse. I tre grani sono connessi ai tre stati dell’essere, ai tre livelli della chiesa, al triregno, alla trinità e, se ci riferiamo a ritualistica più antica, al Trismegisto (ricordiamo che Gregorio Magno fu uno dei riformatori del rito).

  La scatola con le reliquie veniva posta su un trono davanti al portale della chiesa e vegliata da due candele accese (guardiani, vigilanti, angeli ardenti).

  Dentro la chiesa vengono dipinte, nel giorno di vigilia, 12 croci.

  Tre croci per ognuno dei quattro punti cardinali (naturalmente si parla di chiesa orientata).Sotto ogni croce vengono poste delle Candele. Il collegamento al dodecaedro pitagorico-gnostico è evidente. Ovviamente lo è anche quello agli Apostoli, allo schema zodiacale ed al simbolismo numerico del tre e del quattro come esplicitato nel capitolo dedicato ai numeri. Tutti gli altari della chiesa sono nudi (sulla nudità rituale dell’ara-tomba, corpo di pietra vivente, vedi anche quanto esplicitato per i riti battesimali, l’altare verrà battezzato ed iniziato proprio come veniva fatto per il catecumeno). Vicino ad ogni ara è posta una panca nella quale viene scrupolosamente disposta una serie di strumenti rituali […].

  Nella notte di vigilia la chiesa viene lasciata in custodia ad un diacono vestito di bianco che veglia fino al mattino, quando il Vescovo arriva davanti alla porta e, accompagnato dal collegio sacerdotale, recita i salmi penitenziali.

  È fondamentale comprendere che nel rituale viene sempre premessa la fase di purificazione a qualsiasi altra. Egli passa poi alla benedizione dell’acqua, ancora all’esorcismo del sale e all’esorcismo dell’acqua. Mette il sale nell’acqua a forma di croce e asperge se stesso e le pareti esterne della chiesa, girando in senso antiorario.

  Il verso di circolazione dell’officiante può essere compreso meglio se si tiene conto del fatto che la rotazione antioraria è anche un andare incontro al sole nascente.

  Alchemicamente ed energeticamente, è un gesto di soluzione e dissolvimento, mentre quello orario è di coagulazione. ...

  Dopo una serie di riti che tralasciamo, il Vescovo bussa alla porta della chiesa e pronuncia la splendida frase:

“Attollite portas, principes, vestras,
 et elevamini, portae aeternales,
 et introibit Rex Gloriae” (Salmo 24,7)"


Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il Re della Gloria.


  Segue poi una fitta serie di invocazioni, preghiere e canti che accompagnano altre due richieste di  apertura. La terza volta sia il vescovo che gli astanti dicono in coro: “Aperite, aperite, aperite”. La porta viene aperta ed il Vescovo, segnando con la croce la soglia, esorcizza e scaccia i fantasmi.

  Cosa scaccia in realtà? Il rituale non lo dice, ma si tratta sicuramente di un’operazione contro il mondo larvale e contro le illusioni oniriche (incubi e succubi) rimaste nel luogo o immesse da coloro che, in modo impuro, lo hanno edificato.

  Dopo l’ingresso nel tempio (Vescovo e sacerdoti, il popolo resta fuori), il canto del Veni Creator Spiritus, delle litanie dei santi e delle antifone e la dedicazione al Santo del Tempio, segue un gesto interessantissimo e misterioso. Il Vescovo disegna con il pastorale una croce trasversa nella chiesa, composta di tutte le lettere latine e greche. Si dà per probabile che tale segno, alle origini, non fosse composto soltanto di alfabeti ma di sigilli confinarii di probabile ascendenza romana, di cui si è perso l’uso. La croce pavimentale viene poi coperta di cenere. Segue un nuovo esorcismo del sale.

  Vengono poi benedetti singolarmente e dopo mescolati, acqua, sale, cenere e vino. Tali elementi serviranno per tutte le aspersioni a seguire. Questa mescolanza si fa ascendere ad Alberto Magno, ed i profondi significati sono forse scrutabili solo da una mente assai pura. Il Vescovo si reca poi alla porta del tempio e vi segna le croci interne. Quindi torna all’altare e lo consacra con la miscela preparata, segnando le croci che compaiono nel disegno.

  Esegue quindi tre circoambulazioni dell’altare e lo asperge sette volte. Si tratta di due dispari connessi con l’incommensurabile. Il loro prodotto dà 21 e la loro somma dà 10 (vedere anche il significato dei numeri). Quindi asperge i muri della chiesa. Girando in senso antiorario li asperge in basso ed a media altezza. Poi, girando in senso orario li asperge in alto. Notare che la circoambulazione, come la danza sacra, in versi alternati, formano la doppia spirale, l’otto o il nodo continuo, che caratterizzano ogni percorso sacrale.

  Quindi il vescovo va al centro della chiesa ed asperge il pavimento nelle quattro direzioni. Segnando prima da Est a Ovest e poi da Nord a Sud. Benedice quindi il cemento per chiudere le reliquie dei santi nell’altare. Viene quindi fatto un discorso al popolo che nel frattempo è stato ammesso nel tempio e letti i canoni di ringraziamento ai fondatori. Dopo l’unzione della porta, effettuata con il pollice destro, viene attivata una serie di riti d’unzione di tutti gli angoli e gli spigoli dell’altare.

 I famosi spigoli e vertici del poliedro-altare hanno dunque, per la tradizione cristiana, una importante valenza ed individuano uno spazio sacro dentro lo spazio sacro. Riguardo all’olio, ricordare che scorre, preserva, conserva, lucida, vivifica, lenisce.

  Durante tutta la cerimonia ed i canti che l’accompagnano, un sacerdote seguita a girare intorno all’altare profondendo incenso.

  Alla fine del rito il Vescovo, con la mano destra, sparge gli olii su tutto l’altare, quindi passa ad ungere le dodici croci sulle pareti.

  Poi brucia le cinque croci di cerini. Le ceneri raccolte vengono gettate nel sacrario. Il vescovo lava le mani con la mollica ed il rito è praticamente concluso.

  In questa breve descrizione abbiamo tralasciato tutte le invocazioni, le magnifiche meditazioni e le orazioni che accompagnano significativamente il cerimoniale ma, dalle poche attività che abbiamo cercato di evidenziare, apparirà sicuramente chiara la perfezione di geometria sacra che accompagna tutta l’operazione e che non necessita, alla luce di quanto esposto nei precedenti capitoli, di ulteriori commenti."

  Così Guénon: "... le reliquie sono precisamente un veicolo di influenze spirituali; è questa la vera ragione del culto di cui esse sono oggetto, anche se è una ragione che non è sempre cosciente nei rappresentanti delle religioni exoteriche, i quali sembrano talvolta non rendersi conto del carattere molto «positivo» delle forze che maneggiano, ciò che d’altronde non impedisce a tali forze di agire effettivamente, persino a loro insaputa, quantunque forse con minor ampiezza di quanto potrebbero se fossero meglio dirette «tecnicamente»."[1] e "Segnaliamo di sfuggita, a proposito di tale «vivificazione» - se così ci si può esprimere - che la consacrazione dei templi, delle immagini e degli oggetti rituali ha lo scopo essenziale di farne il ricettacolo effettivo delle influenze spirituali senza la cui presenza i riti al quali essi devono servire sarebbero privi di efficacia."[2]  

  Sul particolare tipo di segno sulla roccia, chiaramente fuor di logica in un ribaltamento di rapporti rispetto alla realtà comune: "Aggiungeremo che questo «rivolgimento» è in stretta relazione con il così detto «spostamento delle luci» del simbolismo cabalistico, ed anche con la seguente espressione che la tradizione islamica attribuisce agli awliyâ: «I nostri corpi sono i nostri spiriti, ed i nostri spiriti sono i nostri corpi» (ajsâmnâ arwâhnâ, wa arwâhnâ ajsâmnâ), la quale, non solo indica che tutti gli elementi dell’essere sono completamente unificati nella «Identità Suprema», ma anche che il «nascosto» è diventato l’«apparente» ed inversamente. Sempre secondo la tradizione islamica, l’essere che è passato dall’altra parte del barzakh è in qualche modo l’opposto degli esseri ordinari (e questa è ancora una stretta applicazione del senso inverso dell’analogia tra l’«Uomo Universale» e l’uomo individuale): «se cammina sulla sabbia, non lascia tracce; se cammina sulla roccia, i suoi piedi vi lasciano l’impronta. Se è al sole, non proietta ombra; nell’oscurità, una luce emana da lui». Nota 1: "Ciò ha un evidente rapporto con il simbolismo delle «impronte di piedi» sulle rocce, che risale alle epoche «preistoriche» e che si ritrova in quasi tutte le tradizioni; senza abbordare considerazioni troppo complesse su questo soggetto, possiamo dire che, in generale, queste impronte rappresentano la «traccia» degli stati superiori nel nostro mondo."[3]

  Popolarissimo, purtroppo anche grazie a Walt Disney, è il mito della "spada nella roccia". Un cavaliere, pervenuto ad un certo grado di realizzazione, rinuncia alla sua funzione di combattente, avendo superato i contrasti della dualità per convertire la sua arma in una croce da adorare. Il gesto a sancire tale risultato sarebbe il conficcare la spada nella dura roccia, diventata morbida come la sabbia. 

  Una conversione non sentimentale o "pacifista" ma segno del raggiungimento di una meta da cui la prospettiva si ribalta. Il termine meta nell'antica Grecia indicava il punto di metà gara nelle corse dei cocchi da cui si doveva ritornare al traguardo compiendo un'inversione di marcia.

  Un'altra accezione del mito comporta la scelta del sovrano o l'elezione dell'eroe tra chi fosse stato in grado di estrarre dalla roccia la spada misteriosamente conficcata. Un'arma che possa essere usata solo dall'eletto è presente anche nel libro XXI dell'Odissea. Ulisse, tornato sotto mentite spoglie ad Itaca, si rivela, prima di compiere la strage dei Proci  pretendenti di Penelope, perché il solo in grado di tendere il suo arco e scagliare una freccia attraverso dodici scuri appositamente allineate.

  In senso biblico il peccatore è in origine colui che manca il bersaglio, che si allontana dal centro e si disperde nella periferia, come i profani-Proci, che impetrano vanamente la pietà dell'eroe offrendo beni materiali in cambio delle loro vite ormai segnate.

  La spada nella roccia non è solo un racconto fantasioso ma un dato di fatto che ha retto addirittura ai severi e scettici sguardi degli scienziati. Nell'abbazia cistercense diroccata di San Galgano a Chiusdino, in provincia di Siena, si trova una vera spada infissa nella roccia da San Galgano nel 1180.

A tutt'oggi gli agguerriti indagatori del CICAP non hanno proclamato ai quattro venti la falsità del reperto semplicemente perché non hanno compreso come la lama si sia conficcata nella pietra. Altri studiosi si impegnano nello stabilire primogeniture tra la campagna senese e le brume della Caledonia di Re Artù.

  Alla radice di tale dispendio di energie mentali sta l'incapacità di comprendere che non esistono solo legami orizzontali in questo mondo ma anche verticali o celesti. Espressioni simili di un medesimo principio possono coesistere senza influenzarsi reciprocamente e senza invocare apporti o collegamenti.

  Il nobile Galgano ebbe gioventù dissoluta per poi convertirsi al romitaggio e alla ricerca spirituale che gli procurò fama di santità in vita e soprattutto dopo la morte avvenuta nel 1183 (o nel 1181) poco più che trentenne. Ne risulta una miniera di intrecci e di riferimenti con la cavalleria cristiana reale e con quella dei romanzi arturiani allora in piena espansione di cui un protagonista si chiamava Galvano. Un asse che lega il Gargano in Puglia, la Sacra di San Michele in Piemonte e Mont Saint Michel in Bretagna darebbe il destro ad altre considerazioni che meritano una trattazione a parte. Sappiamo che il XIV secolo segnerà la decadenza di quel mondo medievale con la micidiale persecuzione dei Templari.

 


Sergio Castellino

[1] Considerazioni sull'iniziazione c.8 "Sulla trasmissione iniziatica" p.68 n.1

[2] Ibidem n.2

[3] Iniziazione e realizzazione spirituale c.30 "Spirito nel corpo o corpo nello spirito?" p.254


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