L'Inganno dell'Evoluzionismo di Ambrogio De Carlis

 


   Se esordissi dicendo che l’autore per scrivere quest’opera così ben strutturata avrebbe potuto battere a casaccio sui tasti del computer per un congruo periodo di tempo – un milione d’anni o più, forse - ottenendo lo stesso risultato, in quale reparto psichiatrico verrei internato?

   Eppure, di fronte a realizzazioni enormemente più complesse, come gli esseri viventi, viene proposta una soluzione simile legata al trio caso, tempo e selezione naturale, fungendo quest’ultima da deus ex machina rigorosamente senza alcuna progettazione. C’è da dire che in manicomio non vanno i fautori di una teoria inconsistente e paradossale ma, forti di un successo annoso e planetario che ha dello stupefacente, sono loro che vogliono ricoverare gli oppositori, definiti di volta in volta creazionisti, terrapiattisti, tradizionalisti, retrogradi etc.

   Valgano le parole dell’eminente scienziato Giuseppe Sermonti (1925-2018) riportate in quarta di copertina:

   “ …Siamo in presenza di una confraternita che impedisce agli altri di far carriera. Questa è una grave anomalia per la scienza, dove tutti dovrebbero avere il diritto di formulare le proprie teorie.”

   Il testo di De Carlis propone numerosi antidoti per uscire dall’incantesimo, o, per meglio dire, l’inganno che soggioga non solo gli ambienti scientifici ma soprattutto la comunicazione a ogni livello senza che si senta la necessità di richiedere spiegazioni plausibili.

   Nella prima parte, “Considerazioni preliminari”, sono esposte l’ipotesi evoluzionistica e le basi teoriche che sosterranno sia la “pars destruens” che rivelerà le falle delle elaborazioni di Darwin e dei suoi continuatori, sia la “pars construens” che dal Disegno Intelligente convergerà nella Cosmologia Tradizionale.

   Nella seconda, “Confutazioni scientifiche” l’Ingegneria, l’Informatica, la Cibernetica e, com’è ovvio, le Scienze biologiche sono chiamate in causa, portando tutte a un giudizio di impossibilità riguardo le ipotesi evoluzionistiche. Ciò che fa crollare l’edificio è l’assenza postulata di un progettista, ad onta della grandissima complessità, definita “Irriducibile”, già visibile in parti di organismi unicellulari, come il motore biologico che fa muovere il flagello dei batteri che ne sono dotati.

     La supposta gradualità del processo evolutivo, basata all’origine sui lavori del geologo Lyell (1797-1875), non è riscontrabile perché, come si può facilmente arguire, lo svolgimento corretto di un processo dipende dall’insieme coerente delle parti, senza la possibilità di mezze misure. Una funzionalità fisiologica non può risultare da un work in progress perché gli individui “intermedi” devono sopravvivere e riprodursi per trasmettere alla progenie il prototipo che, grazie a modifiche alla cieca, si presume che funzionerà progressivamente meglio. Quanti anni di cattiva digestione si sarebbero dovuti sorbire i nostri antenati prima di noi? Ed è pensabile che ciò valga anche per un organo tanto centrale quanto delicato come il cuore?

   La stessa Genetica suggerisce che i caratteri di un organismo, il “fenotipo”, è il risultato non solo della presenza di geni specifici, ma anche di complesse regolazioni e dell’interazione con l’ambiente. Il tutto fornisce un quadro molto articolato nel quale le mutazioni casuali non possono certamente apportare migliorie, semmai l’esatto opposto.

   E la moltitudine di sistemi di controllo a feedback negativo che regolano l’intera fisiologia animale, dal pesce al filosofo, come possono logicamente essere sorti nel tempo? Si possono immaginate i giri di prova di un’autovettura senza freni perché non ancora evoluta? O una gastrite da iperacidosi per la produzione ininterrotta di acido cloridrico nello stomaco? Si consideri che questi processi richiedono l’azione coordinata e pressoché ininterrotta di differenti sistemi, nervoso ed endocrino in primis, che dovrebbero aver imparato a funzionare insieme per fortunatissime modifiche contemporanee, tanto per passare dal mondo della probabilità a quello dell’impossibilità.

   La parte conclusiva “Dottrine cosmologiche tradizionali” corona il lavoro con gli ingredienti più qualitativi e che sorreggono l’intero ragionamento, tratti dalla Dottrina Tradizionale. È bene infatti usare il singolare perché, sia pure nella diversità delle forme, tutte le tradizioni esprimono una cosmologia che prevede un’anteriorità del Logos – “In principio era il Verbo” – rispetto alla Manifestazione, e anche l’attività di un Architetto - Vishwakarma – .

      Una reazione naturale come chiedere notizie dell’autore di fronte a un’opera d’arte, presupponendo l’assurdità di una “generazione spontanea”, deve essere censurata ammirando le complicatissime ingegnerie che consentono la vita di una cellula e di conseguenza, degli organismi viventi. Si è parlato, a giusta ragione, dell’orologio nel prato (Paley, 1802 cap.19) che richiama l’azione di un orologiaio, ma ritengo che anche un semplicissimo sgabello farebbe pensare a un manufatto e non all’evoluzione da un ciocco di legno. Infatti per dar vita a Pinocchio è servita la materia prima, la presenza di un fattore – falegname come San Giuseppe - e l’idea concepita precedentemente di forgiare un burattino.

  Il lavoro del De Carlis è veramente ampio, e non trascura alcun aspetto, come ad esempio la mancanza di forme transizionali (i famosi “anelli mancanti” che sarebbe meglio chiamare “anelli mancati”), l’esplosione improvvisa di forme senza precursori in alcuni strati geologici, le contraddizioni con la Termodinamica, la presenza di meccanismi di correzione di errore.

  L’elenco sopra riportato è incompleto, e vuole essere un invito a leggere e consultare un’opera veramente interessante che dovrebbe contribuire a ristabilire, in chi sia disposto e desideroso di capire, una visione non artefatta di ciò che ci circonda e poter fare proprie queste parole, tratte dal secondo capitolo di “Simboli della Scienza Sacra”:

   “La Creazione è l’opera del Verbo; essa è anche, e proprio per questo, la sua manifestazione, e la sua affermazione esteriore; ed è per ciò che il mondo è come un linguaggio divino per coloro che sanno comprenderlo: Coeli enarrant gloriam Dei (Salmi, XIX, 2).

 Sergio Castellino

 

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