Un segno, vogliamo un segno! (1)

 


   Se nel corso di una missione spaziale sulla Luna gli arditi esploratori trovassero in un cratere uno sgabello, qualcuno negherebbe che si tratti di un manufatto e non il frutto di un'attività naturale incontrollata e casuale? Sarebbero sufficienti una squadratura, una levigazione regolare, una smussatura per invocare l'azione di un essere senziente. Pensate allo scalpore che solleverebbe la notizia, decretando l'imperituro trionfo degli ufologi e, forse, la triste ritirata degli scettici.

   Sarebbe lo sgabello su cui l'umanità potrebbe porsi per scrutare nuovi orizzonti e via retorizzando.

  Spero di non aver esagerato l'eventuale portata di tale bizzarro evento. Mi chiedo allora se un semplice oggetto presente sulla Terra o sulla Luna non può non essere creduto opera di qualcuno, perché tale istintivo assunto non vale di fronte a forme ben più complesse?

  Come si può ritenere che i mirabolanti e cangianti disegni sulle ali di una farfalla, utili o meno che siano per la sua sopravvivenza, costituiscano l’esito di un lancio di dadi? Certo, nessuno asserisce che ci sia un Leonardo umano dietro a tutto ciò, e in ogni caso chi avrebbe progettato il progettista?

  Presi dalla disperazione, con quesiti ancora più irrisolvibili come l'origine della vita, taluni ipotizzano l'intervento di una salvifica cometa “fecondatrice” ottenendo così un effetto fortemente parodistico.

  Il progettista è, fatalmente, non umano, e nemmeno antropomorfo, ponendosi su una sfera sovrafenomenica, al di fuori della corrente delle forme incessantemente mutevole. Nulla a che vedere con... Theillard de Chardin.

  Cominciamo l'esame di alcuni degli innumerevoli casi in natura che pensare frutto di ripetuti tentativi casuali è a dir poco azzardato, se non per i tanti epigoni dello "scientificamente corretto", che in Italia allignano indisturbati nonché insofferenti a ogni contraddizione.

   Eccone tre esempi tratti dal microcosmo cellulare.

1) L'RNAm (messaggero) 

  Il processo di trascrizione negli organismi eucarioti, dotati di cellule più grandi e complesse degli organismi procarioti, per es. i batteri, consiste nel trascrivere dal DNA presente nel nucleo le informazioni contenute nella sequenza di basi azotate (quattro molecole chiamate Adenina (A), Guanina (G), Citosina (C) e Timina (T)), in una molecola di RNA la cui composizione è naturalmente dipendente da quella del DNA. Tale trascrizione, che coinvolge numerose molecole in un lavoro di squadra encomiabile, è reso possibile dalla complementarietà delle basi, per cui esistono accoppiamenti obbligati: A richiama U (Uracile, esclusiva dell’RNA), T richiama A, G richiama C e C richiama G.

  Nelle cellule eucarioti, più grandi, complesse e dotate di nucleo, insorge una complicazione rispetto all'analogo processo che si svolge nelle cellule procariote prive di membrana nucleare: il prodotto finito, vero contenitore delle indicazioni per la sintesi delle proteine utili alla cellula, deve subire un rimaneggiamento, detto splicing, prima di essere inviato agli organuli preposti alla sintesi proteica, i ribosomi, di raggio di circa 15-30 nm. (10-9 m - miliardesimi di metro).

  Non si tratta quindi di una fotocopia biochimica ma di un frutto che richiede operazioni, altrettanto complesse, di “taglia e cuci”.

  Questo riarrangiamento consiste nell'eliminare le parti non codificanti, dette "introni" e nel ricucire insieme le parti utili, codificanti, gli "esoni". Il tutto avviene nel nucleo grazie a un apparato biochimicamente complesso formato da “particolari ribonucleoproteine nucleari (cioè molecole fatte di RNA e proteine) chiamate snRNP, che in inglese si pronuncia «snurp».” Questi complessi sono in grado di riconoscere dove effettuare i tagli con una precisione chirurgica. “A questo punto, usando energia fornita dall’ATP, si aggiungono alcune proteine e si forma un voluminoso complesso RNA-proteine, definito spliceosoma. Questo complesso taglia il pre-mRNA, elimina gli introni e ricuce tra loro le estremità degli esoni, producendo l’mRNA maturo."[i]



La questione è ancora più articolata poiché, a seconda dell'organo di cui fa parte la cellula, la scelta delle parti da scartare può modificarsi. Ecco che, a parità di DNA originario, la stessa sequenza può avviare la sintesi di una variante di una proteina come nel caso dell’alfa Tropomiosina che, partendo dallo stesso complesso di informazioni ha struttura differente a seconda che sia sintetizzata nelle cellule muscolari striate – volontarie – o nelle cellule muscolari lisce - involontarie. Un tale fenomeno, che pare valga per il 60% dei geni umani, ci induce a pensare che le molecole coinvolte abbiano coscienza di ciò che producono essendo in grado di ripetere operazioni delicate e complesse. Avranno veramente proceduto alla cieca?

  Un'altra notevole abilità dimostrata da quelle minuscole molecole lascerebbe attoniti, se ci si soffermasse senza pregiudizi su certe realtà date per scontate: i ribosomi possono sussistere in due condizioni, o liberi nel citosol, il mezzo di consistenza semifluida che riempie l’interno della cellula, ancorati a fibre chiamate "citoscheletro" -"scheletro cellulare"- oppure fissati sulle membrane di un altro organulo, il Reticolo Endoplasmatico, una rete di tubicini che, proprio a causa della presenza dei ribosomi, viene chiamato "ruvido". Non esistono differenze funzionali tra le due categorie, è invece diverso il destino delle loro fatiche. Le proteine da "esportazione", che devono uscire dalla cellula e quelle che si fisseranno sulla membrana cellulare sono prodotte sul reticolo ruvido che si occupa di smistarle, con la collaborazione dell'Apparato di Golgi; quelle a uso "interno" sono sintetizzate dai ribosomi liberi. Ribadisco il quesito: come fanno a non confondersi? I testi di Biochimica sono ricchi di particolari nano-strutturali che giustificano le delicatissime operazioni che, tra l’altro, sono anche piuttosto veloci. Ma addentrarsi nei particolari, che appaiono con il tempo sempre più articolati, non fornisce la risposta alla domanda precedente e a quella centrale che le riassume tutte: chi è il progettista di tutte queste mirabilie?

2) Il virus HIV che va esattamente nei linfociti T-helper CD4

   L'Immunologia è la branca delle Scienze della Vita che studia la capacità presente nell'uomo e anche negli animali di opporsi ad agenti patogeni, fronteggiando infezioni, e di distinguere le proprie cellule da quelle estranee o, in termini tecnici anglosassoni, il "self" dal "non self".

   Tali raffinate facoltà sono dovute a processi che impegnano molecole come anticorpi, citochine, prostaglandine etc. e cellule, come i monociti e i linfociti. Questi ultimi si suddividono in varie categorie, una delle quali è denominata T-helper o CD4.

   La conta in laboratorio di queste cellule CD4 è divenuta un'analisi utile, per gli individui sieropositivi, che sono entrati in contatto con il virus, per valutare la situazione del sistema immunitario. Questo perché il patogeno è in grado di colpire proprio le cellule CD4. Questa sua abilità nel centrare il bersaglio è rilevante, pensando a quanto tempo è  stato necessario alla scienza per distinguere le varie sottopopolazioni. La domanda retorica è sempre la stessa: ma come fanno quei gruppetti di proteine e RNA a centrare l'obiettivo? Immaginate questo assemblaggio, dalle dimensioni di circa 100-120 nm immerso in un fiume in piena, il nostro torrente circolatorio, che procede a una velocità tra 1 e 40 cm/s ca. a seconda del tipo di vaso. Alcuni canali (un'arteria non delle più grandi) in cui si troverebbe a transitare il virus hanno un diametro decine migliaia di volte di volte maggiore. Le cellule di un organismo umano sono stimate in 3.72 × 1013, ovvero 37.200.000.000.000 ovvero 37.200 miliardi. Ve la sentireste voi, a parità di condizioni e senza navigatori satellitari, di portare la missione a compimento? Pensate che la strategia migliore sarebbe quella di bussare a tutte le cellule aspettando un colpo di fortuna? 

   3) Il fibrinogeno che si trasforma in fibrina.

  Sulla composizione del sangue, perfettamente mirata sul suo scopo di nutrire, riscaldare e depurare l'organismo ci sarebbero poemi da scrivere. Al riguardo ampi trattati di ematologia sono disponibili. È interessante soffermarsi su uno degli aspetti, la capacità di coagulare. Allo stato, ma potrei sbagliarmi, non è stato ancora progettato un liquido in grado di cambiare la propria consistenza per evitare perdite dal circuito in caso di fuoriuscite accidentali. Il sistema circolatorio è dotato di un mirabile meccanismo che scatta in caso di necessità, cioè di lesioni ai vasi sanguigni.

  Le patologie possono comportare o una carenza di efficacia, come nel caso dell'emofilia, malattia ereditaria di cui era affetto il principe Alessio, figlio dell’ultimo Zar Nicola II Romanov, che ritarda tantissimo o annulla il procedimento della coagulazione, o un eccesso, con la formazione di trombi intraematici particolarmente pericolosi. Da qui l'esigenza di terapie con anticoagulanti per i cardiopatici.

  È degno di rilievo che la proteina principale protagonista del processo, la "fibrina", è sempre presente in circolo, ma in forma inattiva. A mò di sentinella è pronta a ogni evenienza, ma viene chiamata "fibrinogeno", ovvero "generatrice di fibrina". Qual è la differenza tra le due versioni, l'inattiva e l'attiva?

  Il Fibrinogeno è definito scarsamente solubile in acqua contribuendo nel sangue, dove è normalmente presente in ragione di 200-400 mg/dL, alla sua viscosità.

  La Fibrina, da cui deriva grazie a tagli operati da una proteina, la Trombina, anch'essa originata da una forma inattiva, la Protrombina, è invece del tutto insolubile. Provvidenziale dunque il cambiamento intervenuto per costruire una barriera all'uscita del sangue dai casi perché, permanendo una parziale solubilità l’intera formazione non avrebbe retto. Le molecole di Fibrina infatti, una volta prodotte, si intrecciano geometricamente a formare una rete che cattura cellule e piastrine per formare il coagulo, un vero tappo.

  Non può che esservi ammirazione per un sistema in grado di autoregolarsi perfettamente. Qualcuno ritiene che sia potuto originare da un fortunato lancio di dadi?


[i] Sadava, Heller, Orians, Purves, Hillis, Biologia. La scienza della vita, Zanichelli, da cui è tratta anche l'illustrazione.


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